domenica 23 dicembre 2012

La crisi dell'Europa vista da Habermas


                   di Rosario Sapienza

E’ in libreria in Italia per i tipi di Laterza, "Questa Europa è in crisi", una parziale traduzione dal tedesco dell’ultimo volume di Jürgen Habermas, Zur Verfassung Europas. Ein Essay, uscito l’anno scorso in Germania.

L’edizione italiana comprende dunque due saggi (è stata espunta una parte che riguardava più direttamente questioni di interesse interno tedesco), uno dedicato alla ricostruzione della storia del concetto di dignità umana  (pp. 3-31) e l’altro (pp. 33-98)  alla possibilità di una Europa costituzionale che evolva verso un obiettivo dichiaratamente federale

Nel riproporre le sue note posizioni sulla possibilità e desiderabilità di una Costituzione europea (magari aggiornate al Lissabon Urteil della Corte federale tedesca, i cui riflessi si colgono nel ruolo che il filosofo riserva agli Stati nazionali di garanti della giustizia e della libertà),  Habermas  si riconferma il più coerente erede di una tradizione kantiana e di quanto essa debba all’illuminismo tedesco.

Il chiaro autore infatti vede e disegna un quadro nel quale esistono solo l’individuo, gli Stati nazionali e le istituzioni dell’Unione (a parte il cenno a  p. 76 a un “legame politicamente rilevante con la regione d’origine”, peraltro oggetto di un fugace riferimento). Sembra dimenticare invece che la storia dell’Europa è stata fatta dalle sue comunità vitali, dalle regioni e dalle corporazioni, dai territori per i quali egli non ha attenzione, costruendo un progetto istituzionale appunto “illuministico”,  scollegato dalla realtà vitale dell’Europa. 

E’ ben comprensibile, storicamente, che il progetto di una liberazione dell’uomo dalle pastoie della società feudale abbia portato a considerare funzionale l’abbandono della dimensione territoriale, o meglio a sostituire ai legami vitali con il territorio un nesso formale con una entità astratta come lo Stato (cittadinanza) o ultrastatuale come la natura umana (diritti umani), ma gli esiti attuali di questo processo (del quale non condividiamo la ottimistica valutazione di Habermas) rendono necessaria una ripartenza proprio dai territori. Solo una Europa delle regioni potrà offrire una garanzia autentica dei diritti umani.


lunedì 10 dicembre 2012

All'Unione europea il premio Nobel per la pace

di Rosario Sapienza

Si celebra oggi in tutto il mondo la Giornata Mondiale dei Diritti Umani (http://www.un.org/en/events/humanrightsday/ ). La data è stata scelta per ricordare la proclamazione da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite della Dichiarazione universale dei diritti umani, il 10 dicembre 1948 con la risoluzione 217/III, un testo che a sessantaquattro anni dalla sua approvazione mantiene intatta la sua forza morale, ma purtroppo anche le sue intrinseche debolezze.
La Giornata è uno degli eventi di punta nel calendario del quartier generale delle Nazioni Unite a New York ed è onorata con conferenze di alto profilo politico ed eventi culturali come mostre o concerti riguardanti l'argomento dei diritti umani. Inoltre, in questa giornata vengono tradizionalmente attribuiti i due più importanti riconoscimenti in materia, ovvero il Premio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, assegnato a New York, e il Premio Nobel per la pace ad Oslo. Quest’anno il premio Nobel per la pace sarà assegnato all’Unione europea per il complesso della sua azione per il mantenimento della pace sul territorio degli Stati europei, in quanto “da oltre sessant’anni contribuisce a promuovere pace, riconciliazione, democrazia e diritti umani in Europa”.
L’attribuzione di questo premio all’Unione europea, resa nota già nello scorso mese di ottobre, ha suscitato giustificate reazioni di compiaciuta approvazione, ma anche non poche critiche, altrettanto comprensibili. Il presidente della Commissione europea, Barroso,  e il presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, hanno dichiarato in un comunicato congiunto: “È un grandissimo onore per l'Unione europea ricevere il premio Nobel per la pace 2012. Questo è il massimo riconoscimento delle profonde motivazioni politiche che stanno alla base della nostra Unione: lo sforzo unico di un crescente numero di paesi europei di superare guerre e divisioni per disegnare insieme un continente di pace e prosperità. Il premio non è destinato soltanto al progetto e alle istituzioni che incarnano un interesse comune, bensì ai 500 milioni di cittadini che vivono nella nostra Unione”.
Altri fanno notare che, soprattutto alla luce della politica di pareggio di bilancio che la Germania sta imperialisticamente imponendo agli altri Stati, l’Unione europea e il complesso della sua vicenda istituzionale non è stata altro che “la prosecuzione della guerra con altri mezzi” e dunque il premio Nobel per la pace (sia detto con tutto il rispetto dovuto ai saggi di Oslo) suona come un elemento, tra i tanti, di una strategia di mistificazione.
L’una e l’altra posizione meritano rispetto, ma hanno l’una il peccato originale della propaganda politica, l’altra il vizio di una pregiudicata avversione alla costruzione federale europea.
Da parte nostra, dalle pagine di questo blog dedicato proprio alle “Autonomie e Libertà in Europa” vorremmo velocemente sottolineare alcune cose.
In primo luogo, che il premio va all’Unione europea  quale organizzazione che esprime, al di là dei molti suoi limiti e difetti, organizzativi e di ispirazione complessiva, la sintesi della cooperazione nel continente. E questa cooperazione si fonda su  un desiderio di pace in verità assai diffuso tra i popoli dell’Europa, una pace che passa attraverso il rispetto dei diritti di libertà, come mostra il successo della Convenzione europea dei diritti umani (che non è una creazione dell’Unione europea, anche se adesso l’Unione ha avviato negoziati per la sua adesione).
In secondo luogo, poi, e questo è altrettanto innegabile, l’esistenza dell’Unione europea (e prima di esse delle Comunità europee) ha fatto sì che i numerosi contenziosi esistenti tra i Paesi europei abbiano sempre trovato la strada del negoziato all’interno, per quanto è stato possibile, del quadro negoziale offerto dall’Unione.
Dunque ci sono almeno due ragioni per rallegrarsi di questo Nobel, pur se non si può mancare di notare che esso viene assegnato con l’intento di promuovere il futuro piuttosto che di giustificare un passato non tutto commendevole.


sabato 24 novembre 2012

Catalogna e Scozia: verso l'indipendenza?

di Rosario Sapienza

 Maturano sviluppi interessanti per le autonomie europee, sia in Spagna che nel Regno Unito. In Spagna, domenica 25 novembre i catalani tornano alle urne per una consultazione elettorale anticipata, voluta dal governatore Artur Mas di  Convergencia i Uniò,  il partito nazionalista cattolico dello storico leader Jordi Pujol che alla sua guida governò dal 1980 ininterrottamente per ventitré anni. Nel Regno Unito, lo Scottish National Party di Alex Salmond prepara per il 2014 un referendum per l’indipendenza della Scozia, con l’assenso di Downing Street.  

Il motivo per cui Mas porta la Generalitat Catalana a queste elezioni è l’interruzione del negoziato con il governo centrale di Mariano  Rajoy, del PPE (il Partito Popular Espanol, storicamente ispirato a una filosofia di governo centralista) sulla autonomia fiscale della Catalogna che, già dotata di importanti poteri autonomistici, aspira ora alla piena disponibilità della leva fiscale. Insomma chiede che i soldi dei Catalani restino a Barcellona.

D’altra parte, e comprensibilmente,  Rajoy, sotto esame per ottenere una ulteriore tranche di aiuti europei,   non può permettersi di largheggiare proprio  sulle imposte e dunque tiene la posizione.

Ma la Catalogna scalpita, forte della sua posizione economica (da sempre è  considerata uno dei motori dell’economia europea) e di un diffuso sentimento popolare sempre più favorevole all’indipendenza. Lo scorso 12 settembre, due milioni di catalani hanno manifestato a Barcellona per chiedere a gran voce l’indipendenza dal governo di Madrid.


Per comprendere meglio quanto sta accadendo può essere utile ricordare che la Costituzione Spagnola permette la craezione di Comunità Autonome, dotate di ampi poteri per la gestione dei loro territori e la Catalogna è appunto una di esse, fondando le sue pretese autonomiste su ragioni storiche perché essa fu indipendente da Madrid fino alla fine del secolo XV  facendo parte dei possedimenti di  Ferdinando, re di Aragona e Catalogna, e l’unione con Madrid si deve appunto al suo matrimonio con  Isabella di Castiglia, che realizzò la fusione sotto un'unica corona dei due regni più importanti della penisola iberica.

Il 18 giugno 2006, un referendum popolare ha approvato un nuovo Statuto di autonomia che dota  la Generalitat Catalana di maggiori poteri rispetto al vecchio Statuto del 1979. Si tratta di un documento assai esteso e complesso (oltre duecento articoli) e mostra la chiara volontà dei suoi redattori (nonostante alcuni interventi correttivi in sede di riconoscimento nazionale) di accentuare la dimensione identitaria dell’ autonomia, a cominciare,  per esempio, dalla parificazione della lingua catalana a quella castigliana o dal riconoscimento di diritti individuali non contemplati dalla Costituzione Spagnola, o ancora il rafforzamento dell’autonomia giudiziaria rispetto al sistema nazionale spagnolo.

Lo Statuto è poi particolarmente innovativo proprio in riferimento alle problematiche fiscali, rafforzando la capacità decisionale delle  autorità catalane in materia. E proprio sull’ attuazione di questa parte del documento si è arrivati allo scontro con il governo di Madrid.

Diversa, ma ugualmente interessante la vicenda scozzese. Alex Salmond   ha incassato  recentemente  l’assenso del premier britannico Cameron a un referendum sulla indipendenza della Scozia da tenersi nell’autunno del 2014. La Scozia dunque potrebbe, da quel momento, pur tra non poche difficoltà di carattere costituzionale e politico,  diventare indipendente dal Regno Unito pur restando, pare, un membro del Commowealth. Questo è, del resto, un punto centrale nel programma politico dello Scottish National Party, guidato appunto da Alex Salmond, che ha vinto le elezioni del 2011.

La Scozia gode già di una notevole autonomia nell’organizzazione costituzionale del Regno Unito. Ma forse non tutti sanno che il tema dell’autonomia scozzese, pur avendo solide radici risalenti nel tempo, è diventato attuale solo da qualche tempo. Le prime elezioni per il Parlamento Scozzese si sono infatti tenute solo nel 1999 (benché, come qualcuno ricorda, gli Scozzesi abbiano avuto un loro parlamento fino al 1707).

L’autonomia della Scozia all’interno del Regno Unito, che ha indubbiamente ricevuto grande impulso dalla scoperta negli anni settanta di importanti giacimenti petroliferi al largo delle sue coste, è dunque una vicenda relativamente recente.

L’intero dossier della indipendenza scozzese è stato gestito con un certo imbarazzo da Downing Street, che sembra però aver preso adesso l’iniziativa, offrendo in alternativa all’indipendenza, la cosiddetta “devo-max” ossia una devoluzione di poteri ben maggiore di quanto fino ad adesso concesso, inclusa una piena autonomia finanziaria e tributaria. Il governo scozzese è apparso incline a far valutare la proposta dal referendum in programma.

In entrambi i casi, dunque, sembra che la richiesta di indipendenza sia un elemento di un braccio di ferro volto ad ottenere la piena autonomia fiscale agitando lo spauracchio della scelta più radicale. Sono comunque sviluppi che meritano attenzione.





martedì 13 novembre 2012

A un anno dalla scomparsa di Marcello Palumbo, un grande europeista

di Rosario Sapienza     

      Da poco più di un anno Marcello Palumbo ci ha lasciato. Se n’è andato nel mese di settembre del 2011, prima di compiere il novantunesimo compleanno (era nato a Napoli nel 1920) e di poter celebrare il cinquantesimo anniversario della “sua” Associazione dei Giornalisti Europei (della quale fu fondatore e primo segretario generale).
    Non amo in genere le commemorazioni e i necrologi. Credo infatti che ognuno di noi debba custodire dentro di sé il ricordo delle persone care e che il tempo dedicato al ricordo del passato sia  sottratto all’oggi e alla progettazione del futuro.
   Ma sento il dovere di ricordare un amico e un maestro, di giornalismo, di europeismo, di vita. Da lui ho appreso il mestiere di giornalista (che ho praticato per tanti anni) e  la curiosità per la vicenda europea, che mi ha sorretto e ispirato nella mia ricerca accademica. Non sono invece riuscito a far mio quel misto di nettezza e di  garbo  che lo caratterizzava e che faceva sì che i suoi commenti, anche duri e critici, non riuscissero mai sgraditi a chi ne era il destinatario.
    Lo incontrai per la prima volta nel 1975 a Lovanio, dove entrambi ci eravamo recati per prendere parte al secondo congresso europeo degli exallievi salesiani, il primo dedicato alla costruzione dell’Europa unita. E poi, negli anni, la consuetudine di un’amicizia, sempre deferente da parte mia, sincera e schietta  da parte sua, nonostante ci dividessero oltre trent’anni e un abisso incolmabile quanto a professionalità ed esperienza.
    Marcello Palumbo era stato tra i primi in Italia ad appassionarsi all’ideale europeista ed era stato presente alla firma in Campidoglio dei Trattati di Roma. E all’Europa aveva dedicato per anni la sua attività sia di giornalista che di editore, con la celebre Agenda Europea, un must per chi negli anni sessanta e settanta si occupava di cose europee.
    Anche in questi ultimi anni aveva continuato la sua militanza europeista ,che gli era valsa tanti riconoscimenti (da ultimo nel 2005 il premio di giornalismo “Kostantinos Kalligas” a Patrasso), anche se  gli era toccato in sorte di vedere il progetto europeista avvitarsi tra mille difficoltà e sempre ricominciare il suo accidentato cammino. A noi che restiamo lascia l’esempio di un ideale coltivato e perseguito con l’impegno di una vita, cosa ormai assai rara. Ciao Marcello!

martedì 23 ottobre 2012

Sud e Mediterraneo. La XXX Cattedra Sturzo a Caltagirone


 La Cattedra Sturzo è una singolare Scuola di Politica, avviata nel 1981 dall'Istituto di Sociologia "Luigi Sturzo" di Caltagirone in collaborazione con l'Istituto Sturzo di Roma. Essa si propone non solamente la diffusione dell'insegnamento di Sturzo, ma anche l'aggiornamento e il dibattito su problemi politici e sociali di attualità.  Qui di seguito il mio articolo di presentazione della XXX Cattedra, apparso su La Sicilia del  16 ottobre 2012

Cattedra Sturzo

Mediterraneo nesso sottile ma solido Sicilia-Africa


Dal  17 al 19 ottobre prossimi Caltagirone ospiterà la trentesima edizione della Cattedra Sturzo dedicata allo studio  del tema  “Sud e Mediterraneo”. Negli ultimi anni il tema del Mediterraneo è stato costantemente all’attenzione degli incontri della Cattedra Sturzo, sin dall’oramai storico corso del 1997 su “Partenariato euromediterraneo e Poteri Locali”.

Il punto di partenza della riflessione sarà anche questa volta l’insegnamento di Sturzo, che scriveva profeticamente nel gennaio del 1923:

“Come l’Alta Italia ha una zona naturale di commercio e di comunicazioni che s’irradia nell’Europa centrale, specialmente del nord e dell’est […]; così il Mezzogiorno continentale e le  Isole hanno la loro zona nel mediterraneo, e sono non solo il ponte gettato dalla natura fra le varie parti del continente europeo in rapporto alle coste africane ed asiatiche, ma il centro economico e civile più adatto allo sviluppo delle forze produttive e commerciali e punto di interferenza degli scambi. Il Mediterraneo fu sempre bacino dell’Europa più denso di traffici; e la civiltà di vari millenni dimostra che sempre il Mediterraneo avrà una sua economia che non può venir meno, perché basata su necessità naturali”.


Sturzo probabilmente nel suo testo vedeva il Mediterraneo come una zona di espansione coloniale per l’Italia e in particolare per il suo Meridione, come prova un passo successivo di quell’intervento

“ Una politica del Mediterraneo può coesistere con una politica del Centro e dell’Oriente Europeo. Ebbene, questa politica sarà la nostra, insieme a quella mediterranea; politica puramente economica, di lavoro, di scambi, di cooperazione, di pace, di dignità verso l’estero. […] Non certo quella i puro equilibrio nel gioco delle grandi forze internazionali in contrasto; […] ma quella posizione centrale, che possa farci fare una politica di pacifica espansione mediterranea e adriatica, che valga a valorizzare la nostra economia e gli sforzi produttivi delle nostre industrie e dell’agricoltura”.

Oggi noi invece vorremmo cogliere, attraverso il nostro incontro di quest’anno, il nesso sottile ma solido che ci lega in una comunanza di destini ai popoli dell’Africa del Nord, oggi ancora alla ricerca di una nuova stagione di diritti e di prosperità. Nesso che ha una sua dimensione ineludibile, proprio con specifico riferimento ai Paesi che si affacciano sul Canale di Sicilia (Libia e  Tunisia, soprattutto) e alle specificità socio-economiche e culturali che caratterizzano quest’area, che rimane di prioritario riferimento per noi. Prova ne sia il fatto che quasi esclusivamente da queste zone si originano i flussi migratori che finiscono sul nostro territorio. O ancora, potremmo ricordare, la singolare forma di integrazione siculo-tunisina che interessa la marineria attiva nell’area della Sicilia occidentale. Ma potremmo pure parlare della costante emarginazione economica e culturale che da decenni si riserva alla Sicilia e che in forme sempre nuove si rinnova.

 Dunque, nell’interrogarci sulla dimensione della dignità e dei diritti o sugli squilibri economici delle sponde del Mediterraneo, così come sugli inarrestabili movimenti di popolazione, parleremo non solo degli “altri”, ma anche di noi stessi, di un futuro che il comune passato può contribuire a disegnare diverso.

Rosario Sapienza  


domenica 24 giugno 2012

La Germania vuole un nuovo Reich tedesco in Europa?

Sabato 23 giugno  2012 ho incontrato i giovani autonomisti della provincia di Caltanissetta nella sala Giovanni Falcone del Grand Hotel San Michele. Nel corso della mia relazione su "Occorre rifondare dal basso la politica... anche in Europa" mi sono soffermato in particolare sull'ambiguità del processo di integrazione europea fin dalle sue origini.

"Per capire quello che sta accadendo oggi ed in particolare l'atteggiamento della Germania, occorre rendersi conto che l'Unione europea è nata, prima che dagli slanci ideali del federalismo europeista, dal progetto francese di contenimento e controllo della ricostruzione post-bellica tedesca ed ha rappresentato in quegli anni il prevalere del progetto francese sul futuro dell'Europa su quelli anglo-americani, che pure trovarono spazio nella costruzione della NATO e dell' Unione dell'Europa occidentale.

All'interno di questo busto di gesso, la Germania è cresciuta ed oggi presenta il conto agli altri Stati europei, a quelli più vulnerabili sul piano economico-finanziario, ma, in ultima analisi, anche al suo scomodo "tutore" degli ultimi decenni, la Francia. Illudersi che la Germania possa farsi carico di iniziative solidali, senza una chiara contropartita sul piano politico sarebbe una ingenuità madornale.

Oggi la Germania vede concretamente alla sua portata la realizzazione di un nuovo Reich di estensione europea, un Impero regionale che soddisfi il suo desiderio di Grandi Spazi, oltre un secolo dopo la guerra franco-prussiana e dopo due guerre ... mondiali, combattute sì nel mondo intero, ma originate da un problema di espansionismo tedesco. E non rinuncerà facilmente alla realizzazione di un sogno di grandezza che, nella visione di molti tedeschi, è anche una concreta necessità storica"

martedì 8 maggio 2012

Il 9 Maggio è la Festa dell'Europa

E' difficile oggi celebrare la festa dell'Europa, difficile pensare che si possa guardare con fiducia al futuro dell'Europa, celebrando il suo passato. Noi vogliamo farlo nel ricordo di quel 9 maggio 1950, quando nella Sala dell'Orologio del Quai d'Orsay, Robert Schuman tenne il suo discorso nel quale affermava la necessità di una costruzione per gradi dell'Europa unita. Eccone il testo in traduzione italiana

"La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano.

Il contributo che un'Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. La Francia, facendosi da oltre vent'anni antesignana di un'Europa unita, ha sempre avuto per obiettivo essenziale di servire la pace. L'Europa non è stata fatta : abbiamo avuto la guerra.

L'Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. L'unione delle nazioni esige l'eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania: l'azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania.
A tal fine, il governo francese propone di concentrare immediatamente l'azione su un punto limitato ma decisivo.

Il governo francese propone di mettere l'insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un'organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei. 

La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime.

La solidarietà di produzione in tal modo realizzata farà si che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile. La creazione di questa potente unità di produzione, aperta a tutti i paesi che vorranno aderirvi e intesa a fornire a tutti i paesi in essa riuniti gli elementi di base della produzione industriale a condizioni uguali, getterà le fondamenta reali della loro unificazione economica.

Questa produzione sarà offerta al mondo intero senza distinzione né esclusione per contribuire al rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace. Se potrà contare su un rafforzamento dei mezzi, l'Europa sarà in grado di proseguire nella realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano. Sarà così effettuata, rapidamente e con mezzi semplici, la fusione di interessi necessari all'instaurazione di una comunità economica e si introdurrà il fermento di una comunità più profonda tra paesi lungamente contrapposti da sanguinose scissioni.

Questa proposta, mettendo in comune le produzioni di base e istituendo una nuova Alta Autorità, le cui decisioni saranno vincolanti per la Francia, la Germania e i paesi che vi aderiranno, costituirà il primo nucleo concreto di una Federazione europea indispensabile al mantenimento della pace. 
Per giungere alla realizzazione degli obiettivi così definiti, il governo francese è pronto ad iniziare dei negoziati sulle basi seguenti.

Il compito affidato alla comune Alta Autorità sarà di assicurare entro i termini più brevi: l'ammodernamento della produzione e il miglioramento della sua qualità: la fornitura, a condizioni uguali, del carbone e dell'acciaio sul mercato francese e sul mercato tedesco nonché su quelli dei paese aderenti: lo sviluppo dell'esportazione comune verso gli altri paesi; l'innalzamento delle condizioni di vita della manodopera di queste industrie.

Per conseguire tali obiettivi, partendo dalle condizioni molto dissimili in cui attualmente si trovano le produzioni dei paesi aderenti, occorrerà mettere in vigore, a titolo transitorio, alcune disposizioni che comportano l'applicazione di un piano di produzione e di investimento, l'istituzione di meccanismi di perequazione dei prezzi e la creazione di un fondo di riconversione che faciliti la razionalizzazione della produzione. La circolazione del carbone e dell'acciaio tra i paesi aderenti sarà immediatamente esentata da qualsiasi dazio doganale e non potrà essere colpita da tariffe di trasporto differenziali. Ne risulteranno gradualmente le condizioni che assicureranno automaticamente la ripartizione più razionale della produzione al più alto livello di produttività.

Contrariamente ad un cartello internazionale, che tende alla ripartizione e allo sfruttamento dei mercati nazionali mediante pratiche restrittive e il mantenimento di profitti elevati, l'organizzazione progettata assicurerà la fusione dei mercati e l'espansione della produzione.

I principi e gli impegni essenziali sopra definiti saranno oggetto di un trattato firmato tra gli stati e sottoposto alla ratifica dei parlamenti. I negoziati indispensabili per precisare le misure d'applicazione si svolgeranno con l'assistenza di un arbitro designato di comune accordo : costui sarà incaricato di verificare che gli accordi siano conformi ai principi e, in caso di contrasto irriducibile, fisserà la soluzione che sarà adottata.

L'Alta Autorità comune, incaricata del funzionamento dell'intero regime, sarà composta di personalità indipendenti designate su base paritaria dai governi; un presidente sarà scelto di comune accordo dai governi; le sue decisioni saranno esecutive in Francia, Germania e negli altri paesi aderenti. Disposizioni appropriate assicureranno i necessari mezzi di ricorso contro le decisioni dell'Alta Autorità.
Un rappresentante delle Nazioni Unite presso detta autorità sarà incaricato di preparare due volte l'anno una relazione pubblica per l'ONU, nelle quale renderà conto del funzionamento del nuovo organismo, in particolare per quanto riguarda la salvaguardia dei suoi fini pacifici.

L'istituzione dell'Alta Autorità non pregiudica in nulla il regime di proprietà delle imprese. Nell'esercizio del suo compito, l'Alta Autorità comune terrà conto dei poteri conferiti all'autorità internazionale della Ruhr e degli obblighi di qualsiasi natura imposti alla Germania, finché tali obblighi sussisteranno".

venerdì 4 maggio 2012

Il riscatto della Sicilia è possibile. Quindici anni fa il documento del Gruppo di Caltagirone



Quindici anni fa, nel 1997,  il Gruppo di Caltagirone - così denominato dal luogo della sua  prima riunione, avvenuta il 30 novembre del 1996 - elaborò, nel corso di una serie di incontri, un documento per il rilancio del­l’iniziativa economica in Sicilia, indicando le priorità su cui puntare per promuovere questo sviluppo.

Era un gruppo informale di politici, accademi­ci e studiosi militanti,  di diversa estrazione culturale e profes­sionale, convinti però tutti che le  condizioni economiche e sociali della Sicilia, frutto della sua perifericità nel mercato globale mondiale, potessero cambiare.

Ripropongo quel documento, del quale fui tra gli estensori e firmatari nella veste di segretario del Gruppo, non solo per dare testimonianza dello spirito di quei tempi, ma anche perché credo che alcune delle sue proposte abbiano mantenuto una loro vitalità.  


Il riscatto della Sicilia è possibile



Le attuali condizioni economiche e sociali della Sicilia sono il frutto della sua condizione di marginalità che la condanna ad es­sere nel mercato globale mondiale soprattutto un’area di consumo. Tale condizione dipende anche dalla sua posizione periferica che può tuttavia costituire, se dinamicamente interpretata nel contesto euromediterraneo, una risorsa e non un handicap. Crediamo infat­ti, che il riscatto della Sicilia, nonostante tutto, sia ancora possibi­le. Occorre, però, rifare il tessuto della società e costruire una Si­cilia “nuova”, capace di rendersi autenticamente protagonista del proprio sviluppo in leale competizione con tutte le altre regioni d’Europa.
Ciò implica una continua opera di ricostruzione tra le genti si­ciliane di un atteggiamento sanamente imprenditoriale. Non si trat­ta soltanto di operare per la diffusione di conoscenza tecnico-economiche che possano tradursi in iniziative imprenditoriali ma di far sì che nel tempo vengano spaz­zati via secolari atteggiamenti di rassegnazione e fatalismo. Oc­corre, in primo luogo, che il po­polo siciliano sappia recuperare il coraggio di costruire da sé il proprio avvenire, il gusto di es­sere imprenditore del proprio fu­turo, senza attendere dall’alto o dall’esterno la soluzione dei propri problemi.
Ma questo non si può realiz­zare se manca lo sforzo effica­ce per fare emergere, oggi, aspet­ti profondi dell’identità cultura­le siciliana, che possano model­lare in maniera originale e spe­cifica istituzioni, organizzazioni socio-economiche e procedure amministrative, diffondendo un rinnovato gusto nell’operare ed una conseguente efficienza an­che nella cosa pubblica.

A tal proposito, consideriamo che anche l’autonomia della no­stra Regione è una risorsa che può e deve essere ripensata, per volgerla alla realizzazione di questo obiettivo. Per riportare infatti l’autonomia nell’alveo della sua vera funzionalità, è ne­cessario riformare lo stesso mo­do di concepire la Regione, re­spingendo la cultura centralistica che ne ha accentuato la di­stanza rispetto al territorio ed ai soggetti istituzionali, sociali ed economici che vi operano.
In tale direzione occorre, pri­ma di tutto, modificare la concezione stessa della “specialità” dello Statuto regionale siciliano, abbandonando la visione di una autonomia “ingessata” nel busto di una costituzionalità che ha im­pedito di fatto ogni modifica, per recuperare flessibilità e velocità di azione, strumenti indispensabili per fronteggiare le nuove e dif­ficili situazioni sociali ed economiche. In questa prospettiva del rias­setto dei poteri regionali bisogna puntare decisamente sul principio di sussidiarietà quale strumento ordinatore e di valorizzazione del­le autonomie comunitarie di base. A tal fine necessitano: da un la­to, modelli organizzativi contrattuali e finanziari per favorire il trasferimento delle funzioni e quindi la mobilità del personale; dall’altro lato, una radicale riforma del rapporto con le autonomie locali, culturali e sociali arrivando ad istituire una vera e propria Camera delle autonomie.
Mentre, infatti, ci si avvia verso una riforma dello Stato nel sen­so di un accentuato regionalismo, sarebbe in verità assai deluden­te se tutto ciò dovesse tradursi nella sostituzione del centralismo della Regione al centralismo dello Stato. Occorre dunque che la Regione attui al suo interno una vigorosa politica di redistribuzio­ne delle competenze, ispirata al principio della sussidiartela, e quin­di capace di “puntare” sugli enti locali per il futuro del popolo si­ciliano. Una Regione nuova, dunque. Snella, agile e votata più al­l’esercizio di poteri di indirizzo e di coordinamento che alla ge­stione dell’ordinaria amministrazione.

Ma ciò non sarà possibile se non si opererà una riforma istituzionale che attenga ad una nuova definizione delle funzioni regionali che non si possono configura­re più soltanto secondo i momenti della legislazione (affidata al­l’Assemblea) e amministrazione (intesa quest’ultima come esecu­zione della prima affidata al Governo) ma devono interpretarsi prioritariamente come autonome e responsabili attività di governo e di controllo.

Sarebbe, tuttavia illusorio, credere che lo sviluppo endogeno del­la Sicilia possa realizzarsi soltanto, attraverso le pur necessarie rifor­me istituzionali delle quali abbiamo appena segnalato le più urgenti. Occorre anche avviare iniziative concrete di rilancio del tessuto eco­nomico e produttivo dell’isola.
Ciò si ottiene da subito istituendo immediatamente un nuovo rap­porto con le istituzioni dell’Unione Europea. Non e possibile oggi, infatti, concepire un qualsiasi progetto di sviluppo regionale se non nell’ambito delle compatibilità e delle opportunità predisposte dal­l’unione Europea, che, nel quadro dell’Europa delle Regioni e dei popoli, diventa l’autentico interlocutore della progettualità delle co­munità locali. Al riguardo l’obiettivo è quello di mantenere la stra­tegia del progetto in ambito regionale anche se è necessario che da fuori vengano competenze tecniche e soprattutto finanziamenti.

Occorre poi, anche con proce­dure straordinarie, attuare i pro­getti immediatamente cantierabili riguardanti le grandi infrastrutture produttive, fornendo un apporto pubblico di risorse finanziarie che renda concor­renziale il sistema creditizio lo­cale, agevolando in tutti i mo­di possibili l’utilizzo dei fatto­ri della produzione da parte del­le imprese locali.
A tal proposito, fermo re­stando che le grandi scelte strategiche sono di competenza del­le assemblee democraticamente elette e che gli esecutivi devo­no operare scelte delle quali si assumono le responsabilità, la realizzazione delle grandi ope­re sarà possibile solo se le pro­cedure verranno accelerate. Un commissario straordinario, o una commissione di managers, ovvero una primaria società internazionale di auditing potreb­be occuparsi sia della valutazione iniziale dei progetti, sia della valutazione in itinere del­la loro attuazione, in modo da dare alla procedura quella tra­sparenza che è indispensabile condizione per il reperimento anche sui mercati internaziona­li di finanziamenti per lo svi­luppo della Sicilia.

Si tratta, insomma, di lanciare un nuovo modello di sviluppo della Regione, proprio a parti­re dalla condizione di margina­lità cui l’evoluzione storica sembra averla condannata. Il fatto di essere in posizione di perifericità rispetto alle grandi correnti dei flussi finanziari che attraversano il mercato globale, non impedisce tuttavia di svolgere, quando se ne abbia piena consapevolezza, un ruolo significativo nell’area del Mediterraneo, un ruolo al quale la nostra collocazione geografica ci candida per vocazione ineludibi­le. Bisogna evitare che alla perifericità geografica ed economica si accompagni anche la marginalità culturale, ossia l’accettazione rassegnata di questa condizione di emarginazione. Dunque occorre far ricorso alla creatività, mobilitando tutti gli strumenti che possono apparire utili: cercare forme non punitive di riduzione del costo del lavoro, predisporre agevolazioni che possano attrarre gli insedia­menti produttivi, affinare le conoscenze e le abilità nell’uso delle moderne tecniche finanziarie e telematiche. Quello che serve alla Sicilia ed ai siciliani è uno sviluppo “compatibile” con la globa­lizzazione, ma tale da non esserne appiattiti o stravolti. La regionalità e una nuova concezione del “mercato mediterraneo” devono essere organizzati in un gioco nuovo che guidi, secondo i nostri in­teressi e rispettando la nostra identità, le dinamiche generate nel “villaggio globale”.

Soltanto così, coniugando realismo e fantasia, sarà possibile un vero rilancio dell’economia siciliana, costruendo un futuro miglio­re per noi e per le nuove generazioni.

Giuseppe Azzaro, Francesco Parisi, Giovanni  Montemagno, Emilio Giardina, Andrea Piraino, Mario Centorrino, Vincenzo Fazio, Angelo Sindoni, Vincenzo Li Donni, Calogero Lo Giudice, Leonardo Urbani, Francesco Teresi, Eugenio Guccione, Salvatore Azzaro, Rosario Sapienza, Antonio Pi­raino, Pasquale Orteca, Placido Rapisarda, Francesco Iudica






mercoledì 2 maggio 2012

Palermo 29 Aprile. Per le Autonomie e le Libertà in Europa. Frammenti di un manifesto politico


Domenica 29 aprile, a Palermo, nella Sala Wagner del Grand Hotel et des Palmes, ho incontrato i giovani autonomisti della provincia. Questo in sintesi il mio intervento



1. L’attuale governo dei tecnici in Italia ha segnato la fine della cosiddetta Seconda Repubblica, una esperienza ancora difficile da comprendere e valutare nella sua complessità, ma comunque finita perché i suoi attori, tanto a destra quanto a sinistra, si sono dimostrati inadeguati alla soluzione dei problemi urgenti che il momento politico ed economico poneva.   Tale inadeguatezza ha riguardato soprattutto due problemi, distinti ma collegati. Non aver compreso la pervasività della dimensione europea e non aver compreso che l’Italia, così com’è, non è all’altezza di questa dimensione europea.

 E’ giunto il momento dunque di ripensare questa duplice dimensione di inadeguatezza e rifondare in senso autenticamente europeista e autonomista la politica e la società in Europa.  L’affermazione della scelta autonomista appare urgente nell’attuale difficile momento che il cammino dell’unificazione europea sta attraversando  e che induce a più di una riflessione tutti coloro che abbiano a cuore le sorti del nostro continente.  Ci proponiamo di operare al di là degli schieramenti per costruire un’Europa autenticamente federale e solidale. Un’Europa all’interno della quale trovino, innanzi tutto, adeguato riconoscimento tutte le componenti culturali che hanno nei secoli concorso alla sua edificazione. Non ci sta bene dunque una Costituzione che pretenda di guardare al futuro negando il passato.

Né riteniamo sufficiente lo spazio concesso alle realtà regionali all’interno della Costituzione attuale. Occorre invece puntare a una decisa valorizzazione delle dimensioni territoriali. Anche all’interno degli Stati, la cui sovranità non può rappresentare uno schermo al riparo del quale edificare nuove strategie centraliste. L’Unione europea dispone, a partire da una corretta interpretazione del principio di sussidiarietà,  degli strumenti per una autentica regionalizzazione, promuovendo lo sviluppo delle aree bisognose di rinnovate strategie di coesione.

 2. Siamo fermamente convinti, però che il futuro dell’Europa non può dipendere solamente da un mutamento delle strategie dell’Unione.  E che occorre operare anche all’interno dei singoli Stati membri, a cominciare dall’Italia.  L’autonomia che difendiamo è quella di cui parla la Costituzione italiana quando all’articolo 5 dice che “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento”.

 Dunque l’autonomia della quale parliamo, o meglio la sua promozione e la sua difesa è un principio fondamentale della nostra Costituzione, ma ancora largamente inattuato. Vogliamo operare per la sua piena attuazione, per uno Stato che sia autenticamente un’agile struttura di coordinamento delle autonomie, e non una macchina centralista e burocratica.

 Ci proponiamo dunque di agire per il cambiamento in senso autonomista tanto della Costituzione europea  quanto per la piena attuazione del disegno autonomista della Costituzione italiana.


3.  In questo quadro d’insieme nazionale, si inserisce la nostra battaglia a difesa dello Statuto autonomistico siciliano, uno Statuto che difendiamo a partire dalla sua natura pattizia, cioè di accordo tra eguali, il popolo siciliano e il popolo italiano.   Di questa natura pattizia e di quell’autonomismo fino a qualche tempo fa  sembrava perso il ricordo e la Regione andava mestamente a rimorchio dello Stato nazionale, finché non si è avviata in Sicilia  la  rivoluzione autonomista e si è  ripreso il cammino a difesa dello Statuto. A partire dalla sua natura pattizia. Per cui rivendichiamo a gran voce  quell’Alta Corte di cui ancor oggi parla lo Statuto agli artt. 24 e ss., che non era un privilegio tra gli altri, ma organo di arbitrato tra eguali, garante con la sua terzietà proprio della natura pattizia dello Statuto.

Ma molto altro dello Statuto è rimasto inattuato.   Cosa ne è, ad esempio,  dell’art. 31 che dice, tra l’altro, che la polizia dello Stato dipende dal Governo regionale? Cosa ne è stato dell’articolo 36  sui tributi regionali? Cosa dell’art. 38 e della solidarietà nazionale cui esso si riferisce?   


 Allora io dico: in fondo ci sta bene pure ancora oggi lo Statuto del ’46, purché attuato e attuato per intero. E se a una battaglia politica dobbiamo invitarci oggi e invitare i siciliani, questa deve essere la battaglia per uno Statuto nel quale possa riconoscersi la nostra passione per l’autonomia. In Catalogna un partito che si intesta specialmente la battaglia autonomista c’è da sempre e l’autonomia catalana funziona. In Baviera un partito regionale c’è. Perché non può esserci anche in Sicilia? Ci deve essere, ci vuole, ci serve.

  4. Tutto ciò si ricollega a una posizione più generale, se volete, di filosofia politica.  C’è infatti  un nesso genetico tra il potere e il territorio nella teoria politica e filosofica del potere.


Carl Schmitt ricorda che l’ordine costituito è un ordine sul territorio, e che la parola ordine condivide l’etimo con la parola che indica l’origine, dunque un luogo. E il potere è un potere che si esercita appropriandosi di uno spazio, fin dalla prima riflessione ancora in epoca feudale.
 Quando si mette a punto una teoria della sovranità dello Stato il territorio assurge da subito al rango di elemento costitutivo della persona giuridica dello Stato.

 Ma la giuridicizzazione del potere altro non è se non l’esito di un processo di astrazione  che conduce a fare del territorio una immagine indifferenziata, astraendo appunto da ciò che lo rende  una realtà viva e concreta. E, in generale, le teorie giuridiche sono teorie di astrazione e metafisicizzazione del reale, il cui esempio migliore è offerto dal continuum Kelsen-Luhmann, che conduce alla costruzione di una teoria giuridico-politica formale e astratta.

  Questo processo conduce poi (e in essa si esalta) alla totale metafisicizzazione del potere attraverso la telematica, che altro non è se non la collocazione dei rapporti in un non luogo cibernetico che come tale prescinde da una collocazione reale e viva.
Uomini senza tempo vivono vite di plastica in città anonime comunicando ormai soltanto in uno spazio cibernetico virtuale.
E la relazione di potere si costituisce semplicemente attraverso l’introiezione della relazione di una comunicazione a senso unico, che irrompe nella solitudine dell’individuo e di nuovo lo fa schiavo secondo la ben nota  sequenza: individuo-consumatore-spettatore-elettore.

 A questa dinamica, umanamente insostenibile,  sempre più si oppone un movimento nel quale la difesa del territorio assume la valenza della difesa di una alterità: la difesa non del territorio indifferenziato di un’ecologia di maniera, ma la difesa del mio territorio, del nostro territorio come spazio vitale nel quale crescono e si affermano la diversità contro l’omologazione, la carne e il sangue contro la plastica, la vita vissuta contro l’artificialità della vita pensata, rapporti umani significativi e gratuiti contro rapporti tra individui atomizzati che sono solo contatti/contratti.

5. Questa tendenza si manifesta oggi in Europa, e non solo, nei numerosi movimenti di rivendicazione dell’autonomia di questo o quel territorio (in una logica di autonomia o di autodeterminazione, poco importa a questi nostri fini), che non sono semplici richieste di una diversa organizzazione della cosa pubblica,  ma istanze forti di riconoscimento di una diversità di gruppo che non vuol cedere alla massificazione dell’individualismo  metropolitano e che fondano proposte politiche alternative ai tanti centralismi, a loro volta  espressione delle logiche spersonalizzanti del potere.

 Appare chiaro dunque che ci troviamo oggi di fronte a una vera e propria rivincita dei territori, laddove il proliferare di istanze anticentraliste costituisce il Leit-Motif di un discorso politico non nuovo, certo, ma altrettanto certamente assai significativo che deve essere adeguatamente esaminato dai decision makers e messo a tema. 

In quest’ottica va collocata appunto la battaglia autonomista che si è avviata da qualche tempo in Sicilia. Come dicevo sopra l’autonomia della Regione Siciliana è proprio la stessa autonomia dell’articolo 5 della Costituzione, solo che è attuata attraverso uno Statuto Speciale, anch’esso parte della Costituzione. Non c’è diversità di fondamento giuridico nella Repubblica, una e indivisibile, ma diversità di manifestazione e di attuazione. Anche se l’autonomia della Regione Siciliana, da un punto di vista storico, si è manifestata in passato attraverso un movimento di idee a caratterizzazione francamente indipendentista, al quale guardiamo comunque come un momento alto della tensione del popolo siciliano verso istituzioni di autogoverno.

  Questa autonomia, quella della Regione Siciliana, ma anche quella contemplata nella Costituzione è stata tradita, a Roma come a Palermo, attraverso una attuazione parziale e incompiuta.
L’autonomia della Regione Siciliana non è stata e non è quella che avrebbero voluto i padri del nostro Statuto, ma nemmeno può dirsi oggi che nel suo complesso la Repubblica italiana pienamente adegui “i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia”.

E’ dunque necessario rilanciare il discorso dell’autonomia e rimetterlo al centro del dibattito politico per poter sostenere con la propria progettualità politica il disegno autonomistico incompiuto e per poter dare così compiuta attuazione alla Costituzione repubblicana.

 6. E di qui ritorniamo al punto di partenza del nostro ragionamento. La battaglia autonomista  deve poi inquadrarsi nella logica della complessiva dimensione europea, la nuova e pervasiva dimensione istituzionale sul continente europeo, che può rafforzarla,  riempiendola di nuovi contenuti o rappresentare invece la punta di diamante di una strategia di contrasto.

Oggi l’autonomia delle regioni europee rappresenta invero una concreta occasione per ripensare le dinamiche dell’integrazione a livello del continente europeo e in questa dimensione ci inseriamo, consapevoli dell’originalità che ci deriva dal fatto di essere nell’area del Mediterraneo, una componente importante della presenza europea.

Ma le strategie di dialogo con l’Unione europea devono essere particolarmente avvedute, poiché l’Unione con chiarezza è oggi espressione delle stesse logiche di formalizzazione e astrazione sopra descritte che mirano, attraverso una politica delle grandi reti, a una costruzione di un nuovo centralismo e comunque di assetti de-territorializzati.

 Occorre dunque avviare un serrato confronto con le istituzioni comunitarie consapevoli della alterità dialettica delle posizioni e degli interessi, perché   affermare il valore dell’autonomia significa scegliere una consapevole assunzione di responsabilità dal basso, attraverso l’impegno di forze regionali che sappiano fare del loro radicamento territoriale il punto di forza di una nuova concezione della rappresentanza,  coniugando la partecipazione diretta con la visione globale dei problemi.

           
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lunedì 27 febbraio 2012

Per le autonomie e le libertà in Europa

Quello che sta accadendo alla costruzione dell'Unione europea sotto gli occhi di tutti è riconducibile all'esigenza della leadership europea di consolidare un assetto sempre più efficiente e accentrato, anche a costo di ... perdere qualche pezzo per strada.
Da questo punto di vista, tutto ciò era largamente anticipabile e appare comunque in linea con una tendenza che si è consolidata nel tempo.
Rappresenta del resto un luogo comune affermare che la costruzione dell'Unione europea è avvenuta fin qui lungo un percorso di progressivo accentramento dei poteri spesso a scapito delle autonomie, territoriali e non, e dei diritti, collettivi e dei singoli.
Eppure, nella tradizione del pensiero politico e nella storia costituzionale dell'Europa, la garanzia delle autonomie delle corporazioni, territoriali e non territoriali, e dei diritti, dei singoli individui e delle collettività, ha rappresentato un elemento fondamentale del delicato equilibrio fra i poteri.
Questo blog si propone di seguire da presso le vicende istituzionali della costruzione dell'Unione europea, segnalando in particolare tutto ciò che va nel senso della tutela delle autonomie e delle libertà e proponendo quando necessario soluzioni di maggiore protezione.

Rosario Sapienza