martedì 22 gennaio 2013

Il 2013 anno europeo dei cittadini


di Rosario Sapienza


Il 10 gennaio 2013 il Presidente della Commissione José Manuel Barroso e la Vicepresidente Viviane Reding, il Primo Ministro irlandese Enda Kenny e il Ministro irlandese per gli Affari europei Lucinda Creighton hanno inaugurato l'Anno europeo dei cittadini 2013 nella Rotonda del palazzo comunale di Dublino.
Per le celebrazioni dell'Anno europeo dei cittadini, nel 2013 è stata organizzata in tutta l'Unione una serie di manifestazioni, conferenze e seminari a livello dell'Unione e in ambito nazionale, regionale e locale.  In preparazione dell'Anno europeo la Commissione ha condotto, tra il 9 maggio e il 9 settembre 2012, un’ampia consultazione pubblica per rilevare i problemi incontrati dai cittadini nell'esercizio dei diritti legati alla cittadinanza europea. Dalle risposte emerge chiaramente l'importanza che i cittadini attribuiscono ai diritti di cui godono nell'Unione europea, specialmente alla libera circolazione e ai diritti politici. Gli interpellati vorrebbero un autentico spazio europeo in cui poter vivere, lavorare, spostarsi, studiare e fare acquisti senza trovarsi di fronte a ostacoli burocratici o discriminazioni. Tuttavia, resta del cammino da compiere: i cittadini hanno evidenziato svariati problemi, soprattutto la difficoltà di far rispettare i diritti dell'Unione a livello locale; la Commissione tratterà la problematica nella prossima relazione sulla cittadinanza dell'Unione, la cui pubblicazione è prevista nel corso del 2013.
La cittadinanza europea – che integra e non sostituisce quella nazionale – conferisce a tutti i cittadini dei 27 Stati membri dell'Unione una serie di diritti supplementari. Il cittadino dell'Unione ha il diritto di votare e candidarsi alle elezioni amministrative ed europee nello Stato membro in cui risiede, gode della tutela consolare delle autorità di un qualsiasi Stato membro se il suo Stato non è rappresentato all'estero, può presentare una petizione al Parlamento europeo, rivolgersi al Mediatore europeo e, dal 2012, partecipare a un’iniziativa dei cittadini europei.
Dalla cittadinanza europea derivano certamente molti diritti, di cui non sempre siamo consapevoli. Ad esempio, la libertà di circolazione è il diritto più apprezzato derivante dalla cittadinanza.  Ogni anno i cittadini europei compiono infatti più di un miliardo di spostamenti nell'Unione e sono sempre più numerosi quelli che esercitano il diritto di vivere in uno Stato membro diverso dal proprio. Eppure, sebbene oltre un terzo dei lavoratori (35%) sia pronto a prendere in considerazione un impiego in un altro Stato membro, quasi una persona su cinque ritiene che, all'atto pratico, vi siano ancora troppi ostacoli. Insieme alle difficoltà linguistiche, il principale scoglio al pendolarismo transfrontaliero è la carenza cronica di informazioni.
La Commissione europea è al lavoro per superare tali ostacoli. La relazione 2010 sulla cittadinanza dell'Unione ha presentato 25 azioni concrete per rimuovere gli ostacoli che i cittadini europei incontrano tuttora nell'esercizio del diritto alla libera circolazione all'interno dell'UE. Tra queste figurano campagne di sensibilizzazione sullo status di cittadino europeo, sui relativi diritti e sulle implicazioni nella vita quotidiana. Durante quest'Anno europeo dei cittadini la Commissione pubblicherà la seconda relazione sulla cittadinanza dell'Unione, che fungerà da piano d'azione inteso a eliminare i rimanenti ostacoli che impediscono ai cittadini dell'Unione di godere pienamente dei propri diritti.
Così, in estrema sintesi, la cronaca dei fatti recenti, ricostruita sulla scorta dei comunicati stampa. Da essa sembra ricavarsi che la cittadinanza europea sia una condizione dalla quale deriva il riconoscimento di diritti ai “cittadini” europei.
La mia impressione è invece che i diritti, o meglio la loro protezione, siano ormai scollegati dalla tematica dell’identità e della cittadinanza. Come si sa,  nel modello tradizionale recepito anche dal diritto internazionale, la cittadinanza esprime quel nesso tra un individuo e uno Stato che rappresenta il presupposto per il godimento delle libertà fondamentali. Dunque è corretto affermare che in questo modello  esiste un nesso stretto tra la condizione di cittadino e il riconoscimento di diritti. E ben si comprende come su questa realtà si innestino anche dinamiche volte alla costruzione di identità nazionali.
Orbene questo modello è da tempo entrato in crisi così come è entrato in crisi lo Stato-nazione, in quanto comunità basata sulla identificazione dello Stato con la nazione, per cui i cittadini di uno Stato sono gli appartenenti alla comunità nazionale che si esprime e si organizza attraverso quello Stato. Oggi assistiamo sempre di più in Europa al costituirsi di società multietniche, a motivo dell’intensificarsi di fenomeni migratori dovuti alla globalizzazione (ma le migrazioni ci sono sempre state per la verità), e dunque al consolidarsi di un differente modello di Stato e in genere di organizzazione dei rapporti politici tra gli individui e lo Stato: quello del riconoscimento dei diritti umani a tutti coloro che si trovino “within the jurisdiction” (così recita l’articolo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed anche gli altri trattati sui diritti dell’uomo con comparabili formulazioni).
La cittadinanza non è più dunque un elemento determinante per il riconoscimento dei diritti, anche se ancor oggi molti diritti vengono riconosciuti solo ai cittadini (per esempio quelli di elettorato alle elezioni politiche). Anche su questo versante osserviamo comunque in atto interessanti movimenti e trasformazioni volte alla parificazione, per quanto possibile, dei diritti degli stranieri a quelli dei cittadini.
In quest’ottica, il tema della cittadinanza europea, pur interessante in quanto pone il problema difficile, ma ineludibile, del superamento della cittadinanza nazionale in favore di un legame con l’entità più ampia e comprensiva rappresentata dall’Unione europea, appare inevitabilmente datato proprio nel suo tentativo di voler costruire un nesso individui-entità politica di appartenenza in una logica ormai in via di superamento quale appare quella della cittadinanza.



giovedì 3 gennaio 2013

Mancano i diritti nell'Agenda Monti


di Rosario Sapienza


La stampa italiana registra in questi giorni  non pochi commenti critici al documento noto come “Agenda Monti” diffuso dal premier uscente professor Mario Monti e presentato come  il programma della sua ... “salita in politica”.  Tra le varie critiche, trovo particolarmente importanti quelle avanzate da Stefano Rodotà su la Repubblica e da Vladimiro Zagrebelsky su La Stampa di oggi. Con vari argomenti, i due commentatori lamentano il fatto che nell'attuale  dibattito culturale italiano e in particolare nell’Agenda Monti, la questione dei diritti e delle libertà sia quasi del tutto assente. Entrambi ritengono che queste tematiche siano però adeguatamente sviluppate in Europa e che il problema sarebbe insomma tutto italiano.

Ora, è condivisibile l’affermazione secondo la quale la sensibilità per la tematica dei diritti è molto maggiore nei Paesi europei diversi dall’Italia, mentre è più difficile accettare la tesi della protezione dei diritti quale caratteristica del modello europeo di governance che dunque l’Agenda Monti avrebbe così tradito. E’ vero che l’Unione europea è stata insignita del premio Nobel per la pace, tra l’altro, per la propria azione a favore dei diritti umani, ma abbiamo avuto modo di segnalare quanti dubbi e perplessità abbia suscitato questo riconoscimento.

Al contrario, bisogna ricordare come diverse Corti costituzionali di Stati europei, e tra queste soprattutto quella tedesca e quella italiana, abbiano affermato che i livelli di garanzia dei diritti umani nel modello di governance  della Comunità europea, prima,  e dell’Unione, poi, lascino a desiderare. Basta qui rievocare la risalente giurisprudenza Solange della Corte tedesca e la teoria dei controlimiti della nostra Corte costituzionale. Tanto che, sia pure tra non poche difficoltà, l’Unione sta negoziando la propria adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Insomma, nell’Agenda Monti non si parla né di diritti né di libertà, perché nel modello dell’Unione europea di essi ci si cura in verità poco e solo in quanto siano funzionali all’instaurazione e al buon funzionamento del Mercato Unico. E l’Agenda Monti, per ammissione del suo stesso autore, è un elenco di cose da farsi perché l’Italia possa degnamente continuare a sedere tra i membri dell’Unione. Una Unione nella quale evidentemente la tutela dei diritti e delle libertà non è la prima preoccupazione.