mercoledì 11 settembre 2013

Lettere da Strasburgo. A sessant'anni dall'entrata in vigore della Convenzione europea dei diritti dell'uomo

Lo scorso 3 settembre ricorreva il sessantesimo anniversario dell’entrata in vigore della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, firmata a Roma il 4 novembre del 1950. Per l’Italia invece entrò in vigore con il deposito dello strumento di ratifica il 10 ottobre 1955. La Convenzione è stata nel tempo modificata e aggiornata con l'approvazione di protocolli addizionali (siamo arrivati al sedicesimo) e viene universalmente riconosciuta come un ragguardevole risultato nel campo della protezione internazionale dei diritti umani. Essa ha visto crescere sensibilmente il numero degli Stati parti rispetto agli originali stipulanti, molti dei quali sono Stati che sono da poco usciti da sistemi economici marxisti e dunque dirigisti e stanno ancora affrontando un difficile periodo di riforme. Essa vive dunque un non facile periodo di assestamento ed è alla costante ricerca di un assetto che le assicuri sempre maggiore efficacia. E, per vero, essa, nata in seno al Consiglio d'Europa sulla stessa spinta ideale che aveva portato alla Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, ha certamente permesso di cogliere significativi risultati, soprattutto se paragonata al livello di "produttività" degli altri strumenti internazionali in materia, certamente molto minore. Orbene, non c'è dubbio che la Convenzione debba il suo successo a molteplici fattori. Tra questi può ricordarsi, in primo luogo, la circostanza che essa annovera tra le sue parti Stati accomunati da un elevato livello di civiltà, caratterizzato, in particolare, proprio da previsioni costituzionali di garanzia di quegli stessi diritti che la Convenzione protegge. Ma è altrettanto certo che la Convenzione deve il suo successo anche e soprattutto alla circostanza di possedere, accanto a un "tradizionale" meccanismo di controllo dell'adempimento basato su rapporti presentati dagli Stati parti, un più innovativo sistema di ricorsi, tanto statali quanto individuali, davanti ad organi internazionali che assicura un più efficiente ed efficace controllo dell'adempimento e che rappresenta l'aspetto senz'altro più innovativo e interessante del sistema della Convenzione. In questi sessant’anni, oltre 500,000 ricorsi sono stati trattati dagli organi del sistema di Strasburgo e la Corte ha reso circa 16.500 sentenze. Originariamente, come si sa, il procedimento di trattazione dei ricorsi si articolava in due fasi, la prima delle quali, preliminare alla seconda, si svolgeva davanti alla Commissione europea dei diritti dell'uomo. Essa poteva essere adita dagli Stati parti ovvero, fatto questo non usuale nel diritto internazionale, ma ormai sempre più frequente, da individui. Se il ricorso veniva considerato ammissibile, la Commissione procedeva all'esame del merito della questione concludendolo con l'adozione di un rapporto. Assai notevole era, conviene ribadirlo, il fatto che l'individuo ricorrente avesse, nella fase della procedura davanti alla Commissione, un vero e proprio "locus standi". L'adozione del rapporto da parte della Commissione segnava la cerniera tra la prima e la seconda fase del procedimento di controllo, consistente, quest'ultima, o nell'esame del ricorso da parte del Comitato dei Ministri, ovvero nell'adizione della Corte europea dei diritti dell'uomo, se lo Stato "convenuto" ne avesse accettato la competenza. Davanti alla Corte, a differenza di quanto abbiamo visto verificarsi davanti alla Commissione, l'individuo non aveva invece legittimazione processuale. La trattazione del ricorso davanti alla Corte si concludeva poi con una vera e propria sentenza definitiva. Il 1° novembre 1998 è invece diventato pienamente operativo l'undicesimo protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, aperto alla firma l’11 maggio del 1994. In pratica, il protocollo ha stabilito che alla procedura basata essenzialmente sull'operato della Commissione europea dei diritti dell'uomo e della Corte europea dei diritti dell'uomo (con un ruolo eventuale del Comitato dei Ministri), se ne sostituisse una che vede operare solamente la Corte, attraverso le sue Camere e Grandi Camere.