domenica 3 gennaio 2021

Autonomie e Libertà in Europa verso un nuovo decennio

 

Nel 2020 abbiamo celebrato il trentesimo anniversario dell’avvio, nel 1990, di Autonomie & Libertà in Europa, un movimento di idee e azione per una Europa più vicina ai problemi della gente comune.

Nel 1990, anno del varo delle Conferenze Intergovernative che avrebbero poi portato al Trattato di Maastricht, decidemmo di dare struttura più organica alle indagini che fino a quel momento avevamo condotto sulla politica regionale prima e di coesione poi della Comunità europea e sulla protezione dei diritti umani in Europa at large, includendo anche le tematiche relative alla Convenzione europea dei diritti umani.

Avevamo l’impressione già allora che la manualistica corrente avesse finito con l’imporre un approccio al diritto dell’Unione europea tendente a darne una ricostruzione artificiale e speciosa, vittima di un approccio riduzionista la cui esclusività non si giustificava (e non si giustifica nemmeno adesso) né sul piano euristico né sul piano etico, derivando esso da una precomprensione, ormai anacronistica, secondo la quale la Comunità prima e l’Unione dopo si dovessero indentificare solo con il loro apparato di governo, scilicet le istituzioni, mentre il governo del territorio e  delle persone sarebbe rimasto, per dir così, nel dominio riservato degli Stati membri

A questo approccio intendevamo noi non contrapporre, ma affiancare piuttosto, lo studio dell’Unione europea, e segnatamente del suo diritto, a partire dai variegati e complessi equilibri che si costituiscono in singole politiche che, per varie ragioni, appaiono degne di attenzione e suscettibili di offrire punti di vista originali e innovativi.

Queste politiche le individuammo, piuttosto semplicemente, a partire dalla triade di Montesquieu. Ritenendo che l’approccio tradizionale allo studio del diritto dell’Unione europea avesse approfondito solo il versante delle istituzioni e dunque   solo il versante del governo, restava da dire del territorio e del popolo.

Ciò chiamava in causa, quanto al territorio, sia la politica di coesione, quale insieme di strategie attraverso le quali l’Unione invera il suo sistema giuridico sul territorio, sia quelle relazioni giuridicamente significative che l’Unione intrattiene con enti di rango sub-statale, capaci di offrire alternative al modello quasi- o pseudo-federale, sottinteso ai rapporti dell’Unione con gli Stati.

E, sul versante dei rapporti con la popolazione, la cittadinanza europea, primo vero banco di prova della volontà dell’Unione di esistere (e degli Stati membri di farla esistere) al di là delle relazioni fra Stati, dialogando con i propri cittadini.

Attraverso questa analisi di ambiti apparentemente distanti fra di loro, accostati in maniera che certamente potrebbe apparire stravagante ai più, ritenevamo di poter ricostruire una immagine dell’Unione certamente più vicina alla sua realtà di singolare ente giuridico frutto di sintesi innovative e garante di equilibri più avanzati tra il potere e coloro che in Europa ad esso sono soggetti.

E ciò nella convinzione che il compito del giurista oggi sia quello di indirizzare le energie che emergono dalla convivenza sociale su nuovi percorsi di dialogo con le istituzioni, senza rinchiudersi nella turris eburnea dell’accademia.

 La Rivincita dei Territori

 Occorreva insomma tornare ai territori, luoghi di elezione del legame sociale, tanto dimenticati da questa Europa di plastica, dove uomini senza tempo vivono vite di plastica in città anonime comunicando ormai soltanto in uno spazio cibernetico virtuale.

E dove la relazione sociale si costituisce semplicemente attraverso l’introiezione della relazione di una comunicazione a senso unico, che irrompe nella solitudine dell’individuo e di nuovo lo fa schiavo secondo la ben nota sequenza: individuo-consumatore-spettatore-elettore.

A questa dinamica, umanamente insostenibile,  sempre più si deve opporre un movimento nel quale la difesa del territorio assume la valenza della difesa di una alterità: la difesa non del territorio indifferenziato di un’ecologia di maniera, ma la difesa del mio territorio, del nostro territorio come spazio vitale nel quale crescono e si affermano la diversità contro l’omologazione, la carne e il sangue contro la plastica, la vita vissuta contro l’artificialità della vita pensata, rapporti umani significativi e gratuiti contro rapporti tra individui atomizzati che sono solo contatti/contratti.

Né riteniamo sufficiente lo spazio concesso alle realtà regionali all’interno dell’attuale costruzione europea. Occorre invece puntare a una decisa valorizzazione delle dimensioni territoriali. Anche all’interno degli Stati, la cui sovranità non può rappresentare uno schermo al riparo del quale edificare nuove strategie centraliste. L’Unione europea dispone, a partire da una corretta interpretazione del principio di sussidiarietà, degli strumenti per una autentica regionalizzazione, promuovendo lo sviluppo delle aree bisognose di rinnovate strategie di coesione.

Questa esigenza si manifesta oggi in Europa, e non solo, nei numerosi movimenti di rivendicazione dell’autonomia di questo o quel territorio (in una logica di autonomia o di autodeterminazione, poco importa a questi nostri fini), che non sono semplici richieste di una diversa organizzazione della cosa pubblica,  ma istanze forti di riconoscimento di una diversità di gruppo che non vuol cedere alla massificazione dell’individualismo  metropolitano e che fondano proposte politiche alternative ai tanti centralismi, a loro volta  espressione delle logiche spersonalizzanti del potere.

 Appare chiaro dunque che ci troviamo oggi di fronte a una vera e propria rivincita dei territori, laddove il proliferare di istanze anticentraliste costituisce il Leit-Motif di un discorso politico non nuovo, certo, ma altrettanto certamente assai significativo che deve essere adeguatamente esaminato dai decision makers e messo a tema.

Per ricostituire così aree di significatività sociale, all’interno delle quali solamente può avere concreto significato una vita non dominata dall’ideologia economicista. 

 Potere, Ordine, Territorio

 Tutto ciò si ricollega poi a una posizione più generale, se si vuole di filosofia politica.  C’è infatti un nesso genetico tra il potere e il territorio nella teoria politica e filosofica del potere.  Carl Schmitt ricorda che l’ordine costituito è un ordine sul territorio, e che la parola ordine condivide l’etimo con la parola che indica l’origine, dunque un luogo. E il potere è un potere che si esercita appropriandosi di uno spazio, fin dalla prima riflessione ancora in epoca feudale.

 Quando si mette a punto una teoria della sovranità dello Stato il territorio assurge da subito al rango di elemento costitutivo della persona giuridica dello Stato.   Ma la giuridificazione del potere altro non è se non l’esito di un processo di astrazione, che conduce a fare del territorio una immagine indifferenziata, astraendo appunto da ciò che lo rende una realtà viva e concreta. E, in generale, le teorie giuridiche sono teorie di astrazione e metafisicizzazione del reale, il cui esempio migliore è offerto dal continuum Kelsen-Luhmann, che conduce alla costruzione di una teoria giuridico-politica formale e astratta.

Questo processo conduce poi (e in essa si esalta) alla totale metafisicizzazione del potere attraverso la telematica, che altro non è se non la collocazione dei rapporti in un non luogo cibernetico che come tale prescinde da una collocazione reale e viva.

Uomini senza tempo vivono vite di plastica in città anonime comunicando ormai soltanto in uno spazio cibernetico virtuale.

E la relazione di potere si costituisce semplicemente attraverso l’introiezione della relazione di una comunicazione a senso unico, che irrompe nella solitudine dell’individuo e di nuovo lo fa schiavo secondo la ben nota sequenza: individuo-consumatore-spettatore-elettore.

 Autonomie & Libertà in Europa e il diritto internazionale europeo

 Un’ ultima considerazione va riservata ai rapporti tra Autonomie & Libertà in Europa e l’approccio ormai noto come diritto internazionale europeo.

Quando si pensa all’integrazione europea si pensa all’Unione europea e si fa bene perché fra i 27 Stati che ne fanno parte di realizza una forte, pronunciata integrazione.

Ma non si deve dimenticare che questi 27 Stati fanno parte del Consiglio d’Europa, organizzazione che conta oggi 47 Stati membri impegnati in una strategia a lungo termine volta alla costruzione di un’area estesa ove si affermi un modello di Stato caratterizzato dal rispetto dei diritti umani, organizzato secondo principi democratici e nel rispetto della rule of law.

Né va dimenticato altresì che i 47 Stati parti del Consiglio d’Europa fanno a loro volta parte di una più ampia compagine istituzionale, l’OSCE di cui fanno parte 57 Stati europei, nordamericani e dell’Asia centrale.

Ciascuna di queste organizzazioni si pone come elemento promotore di strategie regionali di ordine e sicurezza, che tuttavia pur mirando ad obiettivi comuni o comunque compatibili fra loro non sono al momento fra loro coordinate.

Un elemento in comune è rappresentato dalla promozione di un modello di Stato nel quale l’autorità del potere centrale sia comunque limitata dal riconoscimento di una tutela delle autonomie territoriali e dalla tutela dei diritti umani individuali e collettivi.

L’integrazione di queste strategie di tutela genera un assetto destinato ad influire sugli equilibri “costituzionali” all’interno degli Stati parti delle tre organizzazioni, in una feconda contaminazione di metodi e modelli.

Autonomie e Libertà in Europa nasce per indagare proprio questo complesso assetto e ricostruirne le dinamiche e gli equilibri.