martedì 8 maggio 2012

Il 9 Maggio è la Festa dell'Europa

E' difficile oggi celebrare la festa dell'Europa, difficile pensare che si possa guardare con fiducia al futuro dell'Europa, celebrando il suo passato. Noi vogliamo farlo nel ricordo di quel 9 maggio 1950, quando nella Sala dell'Orologio del Quai d'Orsay, Robert Schuman tenne il suo discorso nel quale affermava la necessità di una costruzione per gradi dell'Europa unita. Eccone il testo in traduzione italiana

"La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano.

Il contributo che un'Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. La Francia, facendosi da oltre vent'anni antesignana di un'Europa unita, ha sempre avuto per obiettivo essenziale di servire la pace. L'Europa non è stata fatta : abbiamo avuto la guerra.

L'Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. L'unione delle nazioni esige l'eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania: l'azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania.
A tal fine, il governo francese propone di concentrare immediatamente l'azione su un punto limitato ma decisivo.

Il governo francese propone di mettere l'insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un'organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei. 

La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime.

La solidarietà di produzione in tal modo realizzata farà si che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile. La creazione di questa potente unità di produzione, aperta a tutti i paesi che vorranno aderirvi e intesa a fornire a tutti i paesi in essa riuniti gli elementi di base della produzione industriale a condizioni uguali, getterà le fondamenta reali della loro unificazione economica.

Questa produzione sarà offerta al mondo intero senza distinzione né esclusione per contribuire al rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace. Se potrà contare su un rafforzamento dei mezzi, l'Europa sarà in grado di proseguire nella realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano. Sarà così effettuata, rapidamente e con mezzi semplici, la fusione di interessi necessari all'instaurazione di una comunità economica e si introdurrà il fermento di una comunità più profonda tra paesi lungamente contrapposti da sanguinose scissioni.

Questa proposta, mettendo in comune le produzioni di base e istituendo una nuova Alta Autorità, le cui decisioni saranno vincolanti per la Francia, la Germania e i paesi che vi aderiranno, costituirà il primo nucleo concreto di una Federazione europea indispensabile al mantenimento della pace. 
Per giungere alla realizzazione degli obiettivi così definiti, il governo francese è pronto ad iniziare dei negoziati sulle basi seguenti.

Il compito affidato alla comune Alta Autorità sarà di assicurare entro i termini più brevi: l'ammodernamento della produzione e il miglioramento della sua qualità: la fornitura, a condizioni uguali, del carbone e dell'acciaio sul mercato francese e sul mercato tedesco nonché su quelli dei paese aderenti: lo sviluppo dell'esportazione comune verso gli altri paesi; l'innalzamento delle condizioni di vita della manodopera di queste industrie.

Per conseguire tali obiettivi, partendo dalle condizioni molto dissimili in cui attualmente si trovano le produzioni dei paesi aderenti, occorrerà mettere in vigore, a titolo transitorio, alcune disposizioni che comportano l'applicazione di un piano di produzione e di investimento, l'istituzione di meccanismi di perequazione dei prezzi e la creazione di un fondo di riconversione che faciliti la razionalizzazione della produzione. La circolazione del carbone e dell'acciaio tra i paesi aderenti sarà immediatamente esentata da qualsiasi dazio doganale e non potrà essere colpita da tariffe di trasporto differenziali. Ne risulteranno gradualmente le condizioni che assicureranno automaticamente la ripartizione più razionale della produzione al più alto livello di produttività.

Contrariamente ad un cartello internazionale, che tende alla ripartizione e allo sfruttamento dei mercati nazionali mediante pratiche restrittive e il mantenimento di profitti elevati, l'organizzazione progettata assicurerà la fusione dei mercati e l'espansione della produzione.

I principi e gli impegni essenziali sopra definiti saranno oggetto di un trattato firmato tra gli stati e sottoposto alla ratifica dei parlamenti. I negoziati indispensabili per precisare le misure d'applicazione si svolgeranno con l'assistenza di un arbitro designato di comune accordo : costui sarà incaricato di verificare che gli accordi siano conformi ai principi e, in caso di contrasto irriducibile, fisserà la soluzione che sarà adottata.

L'Alta Autorità comune, incaricata del funzionamento dell'intero regime, sarà composta di personalità indipendenti designate su base paritaria dai governi; un presidente sarà scelto di comune accordo dai governi; le sue decisioni saranno esecutive in Francia, Germania e negli altri paesi aderenti. Disposizioni appropriate assicureranno i necessari mezzi di ricorso contro le decisioni dell'Alta Autorità.
Un rappresentante delle Nazioni Unite presso detta autorità sarà incaricato di preparare due volte l'anno una relazione pubblica per l'ONU, nelle quale renderà conto del funzionamento del nuovo organismo, in particolare per quanto riguarda la salvaguardia dei suoi fini pacifici.

L'istituzione dell'Alta Autorità non pregiudica in nulla il regime di proprietà delle imprese. Nell'esercizio del suo compito, l'Alta Autorità comune terrà conto dei poteri conferiti all'autorità internazionale della Ruhr e degli obblighi di qualsiasi natura imposti alla Germania, finché tali obblighi sussisteranno".

venerdì 4 maggio 2012

Il riscatto della Sicilia è possibile. Quindici anni fa il documento del Gruppo di Caltagirone



Quindici anni fa, nel 1997,  il Gruppo di Caltagirone - così denominato dal luogo della sua  prima riunione, avvenuta il 30 novembre del 1996 - elaborò, nel corso di una serie di incontri, un documento per il rilancio del­l’iniziativa economica in Sicilia, indicando le priorità su cui puntare per promuovere questo sviluppo.

Era un gruppo informale di politici, accademi­ci e studiosi militanti,  di diversa estrazione culturale e profes­sionale, convinti però tutti che le  condizioni economiche e sociali della Sicilia, frutto della sua perifericità nel mercato globale mondiale, potessero cambiare.

Ripropongo quel documento, del quale fui tra gli estensori e firmatari nella veste di segretario del Gruppo, non solo per dare testimonianza dello spirito di quei tempi, ma anche perché credo che alcune delle sue proposte abbiano mantenuto una loro vitalità.  


Il riscatto della Sicilia è possibile



Le attuali condizioni economiche e sociali della Sicilia sono il frutto della sua condizione di marginalità che la condanna ad es­sere nel mercato globale mondiale soprattutto un’area di consumo. Tale condizione dipende anche dalla sua posizione periferica che può tuttavia costituire, se dinamicamente interpretata nel contesto euromediterraneo, una risorsa e non un handicap. Crediamo infat­ti, che il riscatto della Sicilia, nonostante tutto, sia ancora possibi­le. Occorre, però, rifare il tessuto della società e costruire una Si­cilia “nuova”, capace di rendersi autenticamente protagonista del proprio sviluppo in leale competizione con tutte le altre regioni d’Europa.
Ciò implica una continua opera di ricostruzione tra le genti si­ciliane di un atteggiamento sanamente imprenditoriale. Non si trat­ta soltanto di operare per la diffusione di conoscenza tecnico-economiche che possano tradursi in iniziative imprenditoriali ma di far sì che nel tempo vengano spaz­zati via secolari atteggiamenti di rassegnazione e fatalismo. Oc­corre, in primo luogo, che il po­polo siciliano sappia recuperare il coraggio di costruire da sé il proprio avvenire, il gusto di es­sere imprenditore del proprio fu­turo, senza attendere dall’alto o dall’esterno la soluzione dei propri problemi.
Ma questo non si può realiz­zare se manca lo sforzo effica­ce per fare emergere, oggi, aspet­ti profondi dell’identità cultura­le siciliana, che possano model­lare in maniera originale e spe­cifica istituzioni, organizzazioni socio-economiche e procedure amministrative, diffondendo un rinnovato gusto nell’operare ed una conseguente efficienza an­che nella cosa pubblica.

A tal proposito, consideriamo che anche l’autonomia della no­stra Regione è una risorsa che può e deve essere ripensata, per volgerla alla realizzazione di questo obiettivo. Per riportare infatti l’autonomia nell’alveo della sua vera funzionalità, è ne­cessario riformare lo stesso mo­do di concepire la Regione, re­spingendo la cultura centralistica che ne ha accentuato la di­stanza rispetto al territorio ed ai soggetti istituzionali, sociali ed economici che vi operano.
In tale direzione occorre, pri­ma di tutto, modificare la concezione stessa della “specialità” dello Statuto regionale siciliano, abbandonando la visione di una autonomia “ingessata” nel busto di una costituzionalità che ha im­pedito di fatto ogni modifica, per recuperare flessibilità e velocità di azione, strumenti indispensabili per fronteggiare le nuove e dif­ficili situazioni sociali ed economiche. In questa prospettiva del rias­setto dei poteri regionali bisogna puntare decisamente sul principio di sussidiarietà quale strumento ordinatore e di valorizzazione del­le autonomie comunitarie di base. A tal fine necessitano: da un la­to, modelli organizzativi contrattuali e finanziari per favorire il trasferimento delle funzioni e quindi la mobilità del personale; dall’altro lato, una radicale riforma del rapporto con le autonomie locali, culturali e sociali arrivando ad istituire una vera e propria Camera delle autonomie.
Mentre, infatti, ci si avvia verso una riforma dello Stato nel sen­so di un accentuato regionalismo, sarebbe in verità assai deluden­te se tutto ciò dovesse tradursi nella sostituzione del centralismo della Regione al centralismo dello Stato. Occorre dunque che la Regione attui al suo interno una vigorosa politica di redistribuzio­ne delle competenze, ispirata al principio della sussidiartela, e quin­di capace di “puntare” sugli enti locali per il futuro del popolo si­ciliano. Una Regione nuova, dunque. Snella, agile e votata più al­l’esercizio di poteri di indirizzo e di coordinamento che alla ge­stione dell’ordinaria amministrazione.

Ma ciò non sarà possibile se non si opererà una riforma istituzionale che attenga ad una nuova definizione delle funzioni regionali che non si possono configura­re più soltanto secondo i momenti della legislazione (affidata al­l’Assemblea) e amministrazione (intesa quest’ultima come esecu­zione della prima affidata al Governo) ma devono interpretarsi prioritariamente come autonome e responsabili attività di governo e di controllo.

Sarebbe, tuttavia illusorio, credere che lo sviluppo endogeno del­la Sicilia possa realizzarsi soltanto, attraverso le pur necessarie rifor­me istituzionali delle quali abbiamo appena segnalato le più urgenti. Occorre anche avviare iniziative concrete di rilancio del tessuto eco­nomico e produttivo dell’isola.
Ciò si ottiene da subito istituendo immediatamente un nuovo rap­porto con le istituzioni dell’Unione Europea. Non e possibile oggi, infatti, concepire un qualsiasi progetto di sviluppo regionale se non nell’ambito delle compatibilità e delle opportunità predisposte dal­l’unione Europea, che, nel quadro dell’Europa delle Regioni e dei popoli, diventa l’autentico interlocutore della progettualità delle co­munità locali. Al riguardo l’obiettivo è quello di mantenere la stra­tegia del progetto in ambito regionale anche se è necessario che da fuori vengano competenze tecniche e soprattutto finanziamenti.

Occorre poi, anche con proce­dure straordinarie, attuare i pro­getti immediatamente cantierabili riguardanti le grandi infrastrutture produttive, fornendo un apporto pubblico di risorse finanziarie che renda concor­renziale il sistema creditizio lo­cale, agevolando in tutti i mo­di possibili l’utilizzo dei fatto­ri della produzione da parte del­le imprese locali.
A tal proposito, fermo re­stando che le grandi scelte strategiche sono di competenza del­le assemblee democraticamente elette e che gli esecutivi devo­no operare scelte delle quali si assumono le responsabilità, la realizzazione delle grandi ope­re sarà possibile solo se le pro­cedure verranno accelerate. Un commissario straordinario, o una commissione di managers, ovvero una primaria società internazionale di auditing potreb­be occuparsi sia della valutazione iniziale dei progetti, sia della valutazione in itinere del­la loro attuazione, in modo da dare alla procedura quella tra­sparenza che è indispensabile condizione per il reperimento anche sui mercati internaziona­li di finanziamenti per lo svi­luppo della Sicilia.

Si tratta, insomma, di lanciare un nuovo modello di sviluppo della Regione, proprio a parti­re dalla condizione di margina­lità cui l’evoluzione storica sembra averla condannata. Il fatto di essere in posizione di perifericità rispetto alle grandi correnti dei flussi finanziari che attraversano il mercato globale, non impedisce tuttavia di svolgere, quando se ne abbia piena consapevolezza, un ruolo significativo nell’area del Mediterraneo, un ruolo al quale la nostra collocazione geografica ci candida per vocazione ineludibi­le. Bisogna evitare che alla perifericità geografica ed economica si accompagni anche la marginalità culturale, ossia l’accettazione rassegnata di questa condizione di emarginazione. Dunque occorre far ricorso alla creatività, mobilitando tutti gli strumenti che possono apparire utili: cercare forme non punitive di riduzione del costo del lavoro, predisporre agevolazioni che possano attrarre gli insedia­menti produttivi, affinare le conoscenze e le abilità nell’uso delle moderne tecniche finanziarie e telematiche. Quello che serve alla Sicilia ed ai siciliani è uno sviluppo “compatibile” con la globa­lizzazione, ma tale da non esserne appiattiti o stravolti. La regionalità e una nuova concezione del “mercato mediterraneo” devono essere organizzati in un gioco nuovo che guidi, secondo i nostri in­teressi e rispettando la nostra identità, le dinamiche generate nel “villaggio globale”.

Soltanto così, coniugando realismo e fantasia, sarà possibile un vero rilancio dell’economia siciliana, costruendo un futuro miglio­re per noi e per le nuove generazioni.

Giuseppe Azzaro, Francesco Parisi, Giovanni  Montemagno, Emilio Giardina, Andrea Piraino, Mario Centorrino, Vincenzo Fazio, Angelo Sindoni, Vincenzo Li Donni, Calogero Lo Giudice, Leonardo Urbani, Francesco Teresi, Eugenio Guccione, Salvatore Azzaro, Rosario Sapienza, Antonio Pi­raino, Pasquale Orteca, Placido Rapisarda, Francesco Iudica






mercoledì 2 maggio 2012

Palermo 29 Aprile. Per le Autonomie e le Libertà in Europa. Frammenti di un manifesto politico


Domenica 29 aprile, a Palermo, nella Sala Wagner del Grand Hotel et des Palmes, ho incontrato i giovani autonomisti della provincia. Questo in sintesi il mio intervento



1. L’attuale governo dei tecnici in Italia ha segnato la fine della cosiddetta Seconda Repubblica, una esperienza ancora difficile da comprendere e valutare nella sua complessità, ma comunque finita perché i suoi attori, tanto a destra quanto a sinistra, si sono dimostrati inadeguati alla soluzione dei problemi urgenti che il momento politico ed economico poneva.   Tale inadeguatezza ha riguardato soprattutto due problemi, distinti ma collegati. Non aver compreso la pervasività della dimensione europea e non aver compreso che l’Italia, così com’è, non è all’altezza di questa dimensione europea.

 E’ giunto il momento dunque di ripensare questa duplice dimensione di inadeguatezza e rifondare in senso autenticamente europeista e autonomista la politica e la società in Europa.  L’affermazione della scelta autonomista appare urgente nell’attuale difficile momento che il cammino dell’unificazione europea sta attraversando  e che induce a più di una riflessione tutti coloro che abbiano a cuore le sorti del nostro continente.  Ci proponiamo di operare al di là degli schieramenti per costruire un’Europa autenticamente federale e solidale. Un’Europa all’interno della quale trovino, innanzi tutto, adeguato riconoscimento tutte le componenti culturali che hanno nei secoli concorso alla sua edificazione. Non ci sta bene dunque una Costituzione che pretenda di guardare al futuro negando il passato.

Né riteniamo sufficiente lo spazio concesso alle realtà regionali all’interno della Costituzione attuale. Occorre invece puntare a una decisa valorizzazione delle dimensioni territoriali. Anche all’interno degli Stati, la cui sovranità non può rappresentare uno schermo al riparo del quale edificare nuove strategie centraliste. L’Unione europea dispone, a partire da una corretta interpretazione del principio di sussidiarietà,  degli strumenti per una autentica regionalizzazione, promuovendo lo sviluppo delle aree bisognose di rinnovate strategie di coesione.

 2. Siamo fermamente convinti, però che il futuro dell’Europa non può dipendere solamente da un mutamento delle strategie dell’Unione.  E che occorre operare anche all’interno dei singoli Stati membri, a cominciare dall’Italia.  L’autonomia che difendiamo è quella di cui parla la Costituzione italiana quando all’articolo 5 dice che “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento”.

 Dunque l’autonomia della quale parliamo, o meglio la sua promozione e la sua difesa è un principio fondamentale della nostra Costituzione, ma ancora largamente inattuato. Vogliamo operare per la sua piena attuazione, per uno Stato che sia autenticamente un’agile struttura di coordinamento delle autonomie, e non una macchina centralista e burocratica.

 Ci proponiamo dunque di agire per il cambiamento in senso autonomista tanto della Costituzione europea  quanto per la piena attuazione del disegno autonomista della Costituzione italiana.


3.  In questo quadro d’insieme nazionale, si inserisce la nostra battaglia a difesa dello Statuto autonomistico siciliano, uno Statuto che difendiamo a partire dalla sua natura pattizia, cioè di accordo tra eguali, il popolo siciliano e il popolo italiano.   Di questa natura pattizia e di quell’autonomismo fino a qualche tempo fa  sembrava perso il ricordo e la Regione andava mestamente a rimorchio dello Stato nazionale, finché non si è avviata in Sicilia  la  rivoluzione autonomista e si è  ripreso il cammino a difesa dello Statuto. A partire dalla sua natura pattizia. Per cui rivendichiamo a gran voce  quell’Alta Corte di cui ancor oggi parla lo Statuto agli artt. 24 e ss., che non era un privilegio tra gli altri, ma organo di arbitrato tra eguali, garante con la sua terzietà proprio della natura pattizia dello Statuto.

Ma molto altro dello Statuto è rimasto inattuato.   Cosa ne è, ad esempio,  dell’art. 31 che dice, tra l’altro, che la polizia dello Stato dipende dal Governo regionale? Cosa ne è stato dell’articolo 36  sui tributi regionali? Cosa dell’art. 38 e della solidarietà nazionale cui esso si riferisce?   


 Allora io dico: in fondo ci sta bene pure ancora oggi lo Statuto del ’46, purché attuato e attuato per intero. E se a una battaglia politica dobbiamo invitarci oggi e invitare i siciliani, questa deve essere la battaglia per uno Statuto nel quale possa riconoscersi la nostra passione per l’autonomia. In Catalogna un partito che si intesta specialmente la battaglia autonomista c’è da sempre e l’autonomia catalana funziona. In Baviera un partito regionale c’è. Perché non può esserci anche in Sicilia? Ci deve essere, ci vuole, ci serve.

  4. Tutto ciò si ricollega a una posizione più generale, se volete, di filosofia politica.  C’è infatti  un nesso genetico tra il potere e il territorio nella teoria politica e filosofica del potere.


Carl Schmitt ricorda che l’ordine costituito è un ordine sul territorio, e che la parola ordine condivide l’etimo con la parola che indica l’origine, dunque un luogo. E il potere è un potere che si esercita appropriandosi di uno spazio, fin dalla prima riflessione ancora in epoca feudale.
 Quando si mette a punto una teoria della sovranità dello Stato il territorio assurge da subito al rango di elemento costitutivo della persona giuridica dello Stato.

 Ma la giuridicizzazione del potere altro non è se non l’esito di un processo di astrazione  che conduce a fare del territorio una immagine indifferenziata, astraendo appunto da ciò che lo rende  una realtà viva e concreta. E, in generale, le teorie giuridiche sono teorie di astrazione e metafisicizzazione del reale, il cui esempio migliore è offerto dal continuum Kelsen-Luhmann, che conduce alla costruzione di una teoria giuridico-politica formale e astratta.

  Questo processo conduce poi (e in essa si esalta) alla totale metafisicizzazione del potere attraverso la telematica, che altro non è se non la collocazione dei rapporti in un non luogo cibernetico che come tale prescinde da una collocazione reale e viva.
Uomini senza tempo vivono vite di plastica in città anonime comunicando ormai soltanto in uno spazio cibernetico virtuale.
E la relazione di potere si costituisce semplicemente attraverso l’introiezione della relazione di una comunicazione a senso unico, che irrompe nella solitudine dell’individuo e di nuovo lo fa schiavo secondo la ben nota  sequenza: individuo-consumatore-spettatore-elettore.

 A questa dinamica, umanamente insostenibile,  sempre più si oppone un movimento nel quale la difesa del territorio assume la valenza della difesa di una alterità: la difesa non del territorio indifferenziato di un’ecologia di maniera, ma la difesa del mio territorio, del nostro territorio come spazio vitale nel quale crescono e si affermano la diversità contro l’omologazione, la carne e il sangue contro la plastica, la vita vissuta contro l’artificialità della vita pensata, rapporti umani significativi e gratuiti contro rapporti tra individui atomizzati che sono solo contatti/contratti.

5. Questa tendenza si manifesta oggi in Europa, e non solo, nei numerosi movimenti di rivendicazione dell’autonomia di questo o quel territorio (in una logica di autonomia o di autodeterminazione, poco importa a questi nostri fini), che non sono semplici richieste di una diversa organizzazione della cosa pubblica,  ma istanze forti di riconoscimento di una diversità di gruppo che non vuol cedere alla massificazione dell’individualismo  metropolitano e che fondano proposte politiche alternative ai tanti centralismi, a loro volta  espressione delle logiche spersonalizzanti del potere.

 Appare chiaro dunque che ci troviamo oggi di fronte a una vera e propria rivincita dei territori, laddove il proliferare di istanze anticentraliste costituisce il Leit-Motif di un discorso politico non nuovo, certo, ma altrettanto certamente assai significativo che deve essere adeguatamente esaminato dai decision makers e messo a tema. 

In quest’ottica va collocata appunto la battaglia autonomista che si è avviata da qualche tempo in Sicilia. Come dicevo sopra l’autonomia della Regione Siciliana è proprio la stessa autonomia dell’articolo 5 della Costituzione, solo che è attuata attraverso uno Statuto Speciale, anch’esso parte della Costituzione. Non c’è diversità di fondamento giuridico nella Repubblica, una e indivisibile, ma diversità di manifestazione e di attuazione. Anche se l’autonomia della Regione Siciliana, da un punto di vista storico, si è manifestata in passato attraverso un movimento di idee a caratterizzazione francamente indipendentista, al quale guardiamo comunque come un momento alto della tensione del popolo siciliano verso istituzioni di autogoverno.

  Questa autonomia, quella della Regione Siciliana, ma anche quella contemplata nella Costituzione è stata tradita, a Roma come a Palermo, attraverso una attuazione parziale e incompiuta.
L’autonomia della Regione Siciliana non è stata e non è quella che avrebbero voluto i padri del nostro Statuto, ma nemmeno può dirsi oggi che nel suo complesso la Repubblica italiana pienamente adegui “i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia”.

E’ dunque necessario rilanciare il discorso dell’autonomia e rimetterlo al centro del dibattito politico per poter sostenere con la propria progettualità politica il disegno autonomistico incompiuto e per poter dare così compiuta attuazione alla Costituzione repubblicana.

 6. E di qui ritorniamo al punto di partenza del nostro ragionamento. La battaglia autonomista  deve poi inquadrarsi nella logica della complessiva dimensione europea, la nuova e pervasiva dimensione istituzionale sul continente europeo, che può rafforzarla,  riempiendola di nuovi contenuti o rappresentare invece la punta di diamante di una strategia di contrasto.

Oggi l’autonomia delle regioni europee rappresenta invero una concreta occasione per ripensare le dinamiche dell’integrazione a livello del continente europeo e in questa dimensione ci inseriamo, consapevoli dell’originalità che ci deriva dal fatto di essere nell’area del Mediterraneo, una componente importante della presenza europea.

Ma le strategie di dialogo con l’Unione europea devono essere particolarmente avvedute, poiché l’Unione con chiarezza è oggi espressione delle stesse logiche di formalizzazione e astrazione sopra descritte che mirano, attraverso una politica delle grandi reti, a una costruzione di un nuovo centralismo e comunque di assetti de-territorializzati.

 Occorre dunque avviare un serrato confronto con le istituzioni comunitarie consapevoli della alterità dialettica delle posizioni e degli interessi, perché   affermare il valore dell’autonomia significa scegliere una consapevole assunzione di responsabilità dal basso, attraverso l’impegno di forze regionali che sappiano fare del loro radicamento territoriale il punto di forza di una nuova concezione della rappresentanza,  coniugando la partecipazione diretta con la visione globale dei problemi.

           
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