venerdì 4 maggio 2012

Il riscatto della Sicilia è possibile. Quindici anni fa il documento del Gruppo di Caltagirone



Quindici anni fa, nel 1997,  il Gruppo di Caltagirone - così denominato dal luogo della sua  prima riunione, avvenuta il 30 novembre del 1996 - elaborò, nel corso di una serie di incontri, un documento per il rilancio del­l’iniziativa economica in Sicilia, indicando le priorità su cui puntare per promuovere questo sviluppo.

Era un gruppo informale di politici, accademi­ci e studiosi militanti,  di diversa estrazione culturale e profes­sionale, convinti però tutti che le  condizioni economiche e sociali della Sicilia, frutto della sua perifericità nel mercato globale mondiale, potessero cambiare.

Ripropongo quel documento, del quale fui tra gli estensori e firmatari nella veste di segretario del Gruppo, non solo per dare testimonianza dello spirito di quei tempi, ma anche perché credo che alcune delle sue proposte abbiano mantenuto una loro vitalità.  


Il riscatto della Sicilia è possibile



Le attuali condizioni economiche e sociali della Sicilia sono il frutto della sua condizione di marginalità che la condanna ad es­sere nel mercato globale mondiale soprattutto un’area di consumo. Tale condizione dipende anche dalla sua posizione periferica che può tuttavia costituire, se dinamicamente interpretata nel contesto euromediterraneo, una risorsa e non un handicap. Crediamo infat­ti, che il riscatto della Sicilia, nonostante tutto, sia ancora possibi­le. Occorre, però, rifare il tessuto della società e costruire una Si­cilia “nuova”, capace di rendersi autenticamente protagonista del proprio sviluppo in leale competizione con tutte le altre regioni d’Europa.
Ciò implica una continua opera di ricostruzione tra le genti si­ciliane di un atteggiamento sanamente imprenditoriale. Non si trat­ta soltanto di operare per la diffusione di conoscenza tecnico-economiche che possano tradursi in iniziative imprenditoriali ma di far sì che nel tempo vengano spaz­zati via secolari atteggiamenti di rassegnazione e fatalismo. Oc­corre, in primo luogo, che il po­polo siciliano sappia recuperare il coraggio di costruire da sé il proprio avvenire, il gusto di es­sere imprenditore del proprio fu­turo, senza attendere dall’alto o dall’esterno la soluzione dei propri problemi.
Ma questo non si può realiz­zare se manca lo sforzo effica­ce per fare emergere, oggi, aspet­ti profondi dell’identità cultura­le siciliana, che possano model­lare in maniera originale e spe­cifica istituzioni, organizzazioni socio-economiche e procedure amministrative, diffondendo un rinnovato gusto nell’operare ed una conseguente efficienza an­che nella cosa pubblica.

A tal proposito, consideriamo che anche l’autonomia della no­stra Regione è una risorsa che può e deve essere ripensata, per volgerla alla realizzazione di questo obiettivo. Per riportare infatti l’autonomia nell’alveo della sua vera funzionalità, è ne­cessario riformare lo stesso mo­do di concepire la Regione, re­spingendo la cultura centralistica che ne ha accentuato la di­stanza rispetto al territorio ed ai soggetti istituzionali, sociali ed economici che vi operano.
In tale direzione occorre, pri­ma di tutto, modificare la concezione stessa della “specialità” dello Statuto regionale siciliano, abbandonando la visione di una autonomia “ingessata” nel busto di una costituzionalità che ha im­pedito di fatto ogni modifica, per recuperare flessibilità e velocità di azione, strumenti indispensabili per fronteggiare le nuove e dif­ficili situazioni sociali ed economiche. In questa prospettiva del rias­setto dei poteri regionali bisogna puntare decisamente sul principio di sussidiarietà quale strumento ordinatore e di valorizzazione del­le autonomie comunitarie di base. A tal fine necessitano: da un la­to, modelli organizzativi contrattuali e finanziari per favorire il trasferimento delle funzioni e quindi la mobilità del personale; dall’altro lato, una radicale riforma del rapporto con le autonomie locali, culturali e sociali arrivando ad istituire una vera e propria Camera delle autonomie.
Mentre, infatti, ci si avvia verso una riforma dello Stato nel sen­so di un accentuato regionalismo, sarebbe in verità assai deluden­te se tutto ciò dovesse tradursi nella sostituzione del centralismo della Regione al centralismo dello Stato. Occorre dunque che la Regione attui al suo interno una vigorosa politica di redistribuzio­ne delle competenze, ispirata al principio della sussidiartela, e quin­di capace di “puntare” sugli enti locali per il futuro del popolo si­ciliano. Una Regione nuova, dunque. Snella, agile e votata più al­l’esercizio di poteri di indirizzo e di coordinamento che alla ge­stione dell’ordinaria amministrazione.

Ma ciò non sarà possibile se non si opererà una riforma istituzionale che attenga ad una nuova definizione delle funzioni regionali che non si possono configura­re più soltanto secondo i momenti della legislazione (affidata al­l’Assemblea) e amministrazione (intesa quest’ultima come esecu­zione della prima affidata al Governo) ma devono interpretarsi prioritariamente come autonome e responsabili attività di governo e di controllo.

Sarebbe, tuttavia illusorio, credere che lo sviluppo endogeno del­la Sicilia possa realizzarsi soltanto, attraverso le pur necessarie rifor­me istituzionali delle quali abbiamo appena segnalato le più urgenti. Occorre anche avviare iniziative concrete di rilancio del tessuto eco­nomico e produttivo dell’isola.
Ciò si ottiene da subito istituendo immediatamente un nuovo rap­porto con le istituzioni dell’Unione Europea. Non e possibile oggi, infatti, concepire un qualsiasi progetto di sviluppo regionale se non nell’ambito delle compatibilità e delle opportunità predisposte dal­l’unione Europea, che, nel quadro dell’Europa delle Regioni e dei popoli, diventa l’autentico interlocutore della progettualità delle co­munità locali. Al riguardo l’obiettivo è quello di mantenere la stra­tegia del progetto in ambito regionale anche se è necessario che da fuori vengano competenze tecniche e soprattutto finanziamenti.

Occorre poi, anche con proce­dure straordinarie, attuare i pro­getti immediatamente cantierabili riguardanti le grandi infrastrutture produttive, fornendo un apporto pubblico di risorse finanziarie che renda concor­renziale il sistema creditizio lo­cale, agevolando in tutti i mo­di possibili l’utilizzo dei fatto­ri della produzione da parte del­le imprese locali.
A tal proposito, fermo re­stando che le grandi scelte strategiche sono di competenza del­le assemblee democraticamente elette e che gli esecutivi devo­no operare scelte delle quali si assumono le responsabilità, la realizzazione delle grandi ope­re sarà possibile solo se le pro­cedure verranno accelerate. Un commissario straordinario, o una commissione di managers, ovvero una primaria società internazionale di auditing potreb­be occuparsi sia della valutazione iniziale dei progetti, sia della valutazione in itinere del­la loro attuazione, in modo da dare alla procedura quella tra­sparenza che è indispensabile condizione per il reperimento anche sui mercati internaziona­li di finanziamenti per lo svi­luppo della Sicilia.

Si tratta, insomma, di lanciare un nuovo modello di sviluppo della Regione, proprio a parti­re dalla condizione di margina­lità cui l’evoluzione storica sembra averla condannata. Il fatto di essere in posizione di perifericità rispetto alle grandi correnti dei flussi finanziari che attraversano il mercato globale, non impedisce tuttavia di svolgere, quando se ne abbia piena consapevolezza, un ruolo significativo nell’area del Mediterraneo, un ruolo al quale la nostra collocazione geografica ci candida per vocazione ineludibi­le. Bisogna evitare che alla perifericità geografica ed economica si accompagni anche la marginalità culturale, ossia l’accettazione rassegnata di questa condizione di emarginazione. Dunque occorre far ricorso alla creatività, mobilitando tutti gli strumenti che possono apparire utili: cercare forme non punitive di riduzione del costo del lavoro, predisporre agevolazioni che possano attrarre gli insedia­menti produttivi, affinare le conoscenze e le abilità nell’uso delle moderne tecniche finanziarie e telematiche. Quello che serve alla Sicilia ed ai siciliani è uno sviluppo “compatibile” con la globa­lizzazione, ma tale da non esserne appiattiti o stravolti. La regionalità e una nuova concezione del “mercato mediterraneo” devono essere organizzati in un gioco nuovo che guidi, secondo i nostri in­teressi e rispettando la nostra identità, le dinamiche generate nel “villaggio globale”.

Soltanto così, coniugando realismo e fantasia, sarà possibile un vero rilancio dell’economia siciliana, costruendo un futuro miglio­re per noi e per le nuove generazioni.

Giuseppe Azzaro, Francesco Parisi, Giovanni  Montemagno, Emilio Giardina, Andrea Piraino, Mario Centorrino, Vincenzo Fazio, Angelo Sindoni, Vincenzo Li Donni, Calogero Lo Giudice, Leonardo Urbani, Francesco Teresi, Eugenio Guccione, Salvatore Azzaro, Rosario Sapienza, Antonio Pi­raino, Pasquale Orteca, Placido Rapisarda, Francesco Iudica






Nessun commento:

Posta un commento