Domenica 29 aprile, a Palermo, nella Sala Wagner del Grand Hotel et des Palmes, ho incontrato i giovani autonomisti della provincia. Questo in sintesi il mio intervento
1. L’attuale governo dei tecnici in Italia ha segnato la fine della cosiddetta Seconda Repubblica, una esperienza ancora difficile da comprendere e valutare nella sua complessità, ma comunque finita perché i suoi attori, tanto a destra quanto a sinistra, si sono dimostrati inadeguati alla soluzione dei problemi urgenti che il momento politico ed economico poneva. Tale inadeguatezza ha riguardato soprattutto due problemi, distinti ma collegati. Non aver compreso la pervasività della dimensione europea e non aver compreso che l’Italia, così com’è, non è all’altezza di questa dimensione europea.
E’ giunto il momento dunque di ripensare questa duplice dimensione di inadeguatezza e rifondare in senso autenticamente europeista e autonomista la politica e la società in Europa. L’affermazione della scelta autonomista appare urgente nell’attuale difficile momento che il cammino dell’unificazione europea sta attraversando e che induce a più di una riflessione tutti coloro che abbiano a cuore le sorti del nostro continente. Ci proponiamo di operare al di là degli schieramenti per costruire un’Europa autenticamente federale e solidale. Un’Europa all’interno della quale trovino, innanzi tutto, adeguato riconoscimento tutte le componenti culturali che hanno nei secoli concorso alla sua edificazione. Non ci sta bene dunque una Costituzione che pretenda di guardare al futuro negando il passato.
Né riteniamo sufficiente lo spazio concesso alle realtà regionali all’interno della Costituzione attuale. Occorre invece puntare a una decisa valorizzazione delle dimensioni territoriali. Anche all’interno degli Stati, la cui sovranità non può rappresentare uno schermo al riparo del quale edificare nuove strategie centraliste. L’Unione europea dispone, a partire da una corretta interpretazione del principio di sussidiarietà, degli strumenti per una autentica regionalizzazione, promuovendo lo sviluppo delle aree bisognose di rinnovate strategie di coesione.
2. Siamo fermamente convinti, però che il futuro dell’Europa non può dipendere solamente da un mutamento delle strategie dell’Unione. E che occorre operare anche all’interno dei singoli Stati membri, a cominciare dall’Italia. L’autonomia che difendiamo è quella di cui parla la Costituzione italiana quando all’articolo 5 dice che “La Repubblica , una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento”.
Dunque l’autonomia della quale parliamo, o meglio la sua promozione e la sua difesa è un principio fondamentale della nostra Costituzione, ma ancora largamente inattuato. Vogliamo operare per la sua piena attuazione, per uno Stato che sia autenticamente un’agile struttura di coordinamento delle autonomie, e non una macchina centralista e burocratica.
Ci proponiamo dunque di agire per il cambiamento in senso autonomista tanto della Costituzione europea quanto per la piena attuazione del disegno autonomista della Costituzione italiana.
3. In questo quadro d’insieme nazionale, si inserisce la nostra battaglia a difesa dello Statuto autonomistico siciliano, uno Statuto che difendiamo a partire dalla sua natura pattizia, cioè di accordo tra eguali, il popolo siciliano e il popolo italiano. Di questa natura pattizia e di quell’autonomismo fino a qualche tempo fa sembrava perso il ricordo e la Regione andava mestamente a rimorchio dello Stato nazionale, finché non si è avviata in Sicilia la rivoluzione autonomista e si è ripreso il cammino a difesa dello Statuto. A partire dalla sua natura pattizia. Per cui rivendichiamo a gran voce quell’Alta Corte di cui ancor oggi parla lo Statuto agli artt. 24 e ss., che non era un privilegio tra gli altri, ma organo di arbitrato tra eguali, garante con la sua terzietà proprio della natura pattizia dello Statuto.
Ma molto altro dello Statuto è rimasto inattuato. Cosa ne è, ad esempio, dell’art. 31 che dice, tra l’altro, che la polizia dello Stato dipende dal Governo regionale? Cosa ne è stato dell’articolo 36 sui tributi regionali? Cosa dell’art. 38 e della solidarietà nazionale cui esso si riferisce?
Allora io dico: in fondo ci sta bene pure ancora oggi lo Statuto del ’46, purché attuato e attuato per intero. E se a una battaglia politica dobbiamo invitarci oggi e invitare i siciliani, questa deve essere la battaglia per uno Statuto nel quale possa riconoscersi la nostra passione per l’autonomia. In Catalogna un partito che si intesta specialmente la battaglia autonomista c’è da sempre e l’autonomia catalana funziona. In Baviera un partito regionale c’è. Perché non può esserci anche in Sicilia? Ci deve essere, ci vuole, ci serve.
4. Tutto ciò si ricollega a una posizione più generale, se volete, di filosofia politica. C’è infatti un nesso genetico tra il potere e il territorio nella teoria politica e filosofica del potere.
Carl Schmitt ricorda che l’ordine costituito è un ordine sul territorio, e che la parola ordine condivide l’etimo con la parola che indica l’origine, dunque un luogo. E il potere è un potere che si esercita appropriandosi di uno spazio, fin dalla prima riflessione ancora in epoca feudale.
Quando si mette a punto una teoria della sovranità dello Stato il territorio assurge da subito al rango di elemento costitutivo della persona giuridica dello Stato.
Ma la giuridicizzazione del potere altro non è se non l’esito di un processo di astrazione che conduce a fare del territorio una immagine indifferenziata, astraendo appunto da ciò che lo rende una realtà viva e concreta. E, in generale, le teorie giuridiche sono teorie di astrazione e metafisicizzazione del reale, il cui esempio migliore è offerto dal continuum Kelsen-Luhmann, che conduce alla costruzione di una teoria giuridico-politica formale e astratta.
Questo processo conduce poi (e in essa si esalta) alla totale metafisicizzazione del potere attraverso la telematica, che altro non è se non la collocazione dei rapporti in un non luogo cibernetico che come tale prescinde da una collocazione reale e viva.
Uomini senza tempo vivono vite di plastica in città anonime comunicando ormai soltanto in uno spazio cibernetico virtuale.
E la relazione di potere si costituisce semplicemente attraverso l’introiezione della relazione di una comunicazione a senso unico, che irrompe nella solitudine dell’individuo e di nuovo lo fa schiavo secondo la ben nota sequenza: individuo-consumatore-spettatore-elettore.
A questa dinamica, umanamente insostenibile, sempre più si oppone un movimento nel quale la difesa del territorio assume la valenza della difesa di una alterità: la difesa non del territorio indifferenziato di un’ecologia di maniera, ma la difesa del mio territorio, del nostro territorio come spazio vitale nel quale crescono e si affermano la diversità contro l’omologazione, la carne e il sangue contro la plastica, la vita vissuta contro l’artificialità della vita pensata, rapporti umani significativi e gratuiti contro rapporti tra individui atomizzati che sono solo contatti/contratti.
5. Questa tendenza si manifesta oggi in Europa, e non solo, nei numerosi movimenti di rivendicazione dell’autonomia di questo o quel territorio (in una logica di autonomia o di autodeterminazione, poco importa a questi nostri fini), che non sono semplici richieste di una diversa organizzazione della cosa pubblica, ma istanze forti di riconoscimento di una diversità di gruppo che non vuol cedere alla massificazione dell’individualismo metropolitano e che fondano proposte politiche alternative ai tanti centralismi, a loro volta espressione delle logiche spersonalizzanti del potere.
Appare chiaro dunque che ci troviamo oggi di fronte a una vera e propria rivincita dei territori, laddove il proliferare di istanze anticentraliste costituisce il Leit-Motif di un discorso politico non nuovo, certo, ma altrettanto certamente assai significativo che deve essere adeguatamente esaminato dai decision makers e messo a tema.
In quest’ottica va collocata appunto la battaglia autonomista che si è avviata da qualche tempo in Sicilia. Come dicevo sopra l’autonomia della Regione Siciliana è proprio la stessa autonomia dell’articolo 5 della Costituzione, solo che è attuata attraverso uno Statuto Speciale, anch’esso parte della Costituzione. Non c’è diversità di fondamento giuridico nella Repubblica, una e indivisibile, ma diversità di manifestazione e di attuazione. Anche se l’autonomia della Regione Siciliana, da un punto di vista storico, si è manifestata in passato attraverso un movimento di idee a caratterizzazione francamente indipendentista, al quale guardiamo comunque come un momento alto della tensione del popolo siciliano verso istituzioni di autogoverno.
Questa autonomia, quella della Regione Siciliana, ma anche quella contemplata nella Costituzione è stata tradita, a Roma come a Palermo, attraverso una attuazione parziale e incompiuta.
L’autonomia della Regione Siciliana non è stata e non è quella che avrebbero voluto i padri del nostro Statuto, ma nemmeno può dirsi oggi che nel suo complesso la Repubblica italiana pienamente adegui “i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia”.
E’ dunque necessario rilanciare il discorso dell’autonomia e rimetterlo al centro del dibattito politico per poter sostenere con la propria progettualità politica il disegno autonomistico incompiuto e per poter dare così compiuta attuazione alla Costituzione repubblicana.
6. E di qui ritorniamo al punto di partenza del nostro ragionamento. La battaglia autonomista deve poi inquadrarsi nella logica della complessiva dimensione europea, la nuova e pervasiva dimensione istituzionale sul continente europeo, che può rafforzarla, riempiendola di nuovi contenuti o rappresentare invece la punta di diamante di una strategia di contrasto.
Oggi l’autonomia delle regioni europee rappresenta invero una concreta occasione per ripensare le dinamiche dell’integrazione a livello del continente europeo e in questa dimensione ci inseriamo, consapevoli dell’originalità che ci deriva dal fatto di essere nell’area del Mediterraneo, una componente importante della presenza europea.
Ma le strategie di dialogo con l’Unione europea devono essere particolarmente avvedute, poiché l’Unione con chiarezza è oggi espressione delle stesse logiche di formalizzazione e astrazione sopra descritte che mirano, attraverso una politica delle grandi reti, a una costruzione di un nuovo centralismo e comunque di assetti de-territorializzati.
Occorre dunque avviare un serrato confronto con le istituzioni comunitarie consapevoli della alterità dialettica delle posizioni e degli interessi, perché affermare il valore dell’autonomia significa scegliere una consapevole assunzione di responsabilità dal basso, attraverso l’impegno di forze regionali che sappiano fare del loro radicamento territoriale il punto di forza di una nuova concezione della rappresentanza, coniugando la partecipazione diretta con la visione globale dei problemi.
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