giovedì 26 novembre 2020

Lettere da Strasburgo. Per i settant'anni della Convenzione europea dei diritti dell'uomo


 

In questo mese di novembre settant’anni fa, precisamente il 4 novembre 1950, veniva aperta alla firma la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Si sono e si stanno succedendo sulle più varie piattaforme, a motivo della pandemia che impedisce assembramenti, celebrazioni di questo importante anniversario.

La Corte europea dei diritti dell’uomo, organo di garanzia della Convenzione, ha celebrato l’anniversario assai per tempo, con un seminario in presenza, nel gennaio di quest’anno in occasione dell’apertura del suo anno giudiziario.

Ed in verità, le celebrazioni dell’anniversario della Convenzione si stanno incentrando sul ruolo della Corte, spesso dimenticando che la Convenzione è più che la Corte stessa e il Consiglio d’Europa è più che la Convenzione.

Certo, il sistema della Corte europea, vero e proprio tribunale internazionale posto a presidio della Convenzione, un trattato internazionale scritto come un catalogo “costituzionale” dei diritti fondamentali, ha fatto da catalizzatore al rinnovarsi anche in tempi recenti della nostalgia per una giurisdizione sovrastatale di una ipotetica realtà quasi federale europea.

Non dobbiamo però dimenticare due elementi fondamentali.

Il primo è che lo schema del ricorso individuale ad un organo giudiziario di tutela e controllo è solamente uno tra i tanti metodi di controllo che l’evoluzione del diritto internazionale ha reso disponibili.

Il secondo elemento di riflessione è che il fatto che l’avvio del procedimento di controllo dipenda dal ricorso dell’individuo implica, a sua volta, che il meccanismo di tutela rimanga condizionato da questo ricorso individuale, che proprio perché individuale, si attiva solo quando l’individuo così ritenga.

La giurisprudenza della Corte, certamente pregevole, va vista dunque nell’ambito di una più ampia strategia nella quale essa si inserisce, quella posta in essere dagli organi politici del Consiglio d’Europa, sia l’Assemblea Parlamentare che il Comitato dei Ministri, a difesa dei diritti umani.

Ne viene fuori un quadro di cooperazione serrata, quasi di integrazione, nel cui ambito operano strumenti peculiari del sistema, quali certamente sono la Corte con le sue sentenze ed anche l’Assemblea Parlamentare con le sue risoluzioni e raccomandazioni, e altri più tradizionalmente riconducibili alla dimensione del negoziato politico tra gli Stati.

Quel che importa però è che il Consiglio d’Europa ci abbia assicurato settant’anni di costante progresso nella tutela dei diritti dell’uomo.  

 

 

 

domenica 22 novembre 2020

Il Barometro Regionale e Locale. Il Rapporto annuale 2020

 

Nel quadro della Settimana europea delle regioni e delle città, promossa dal Comitato delle Regioni dell'Unione europea, è stata presentata la prima edizione del Barometro Regionale e Locale un rapporto annuale che ha lo scopo di saggiare e descrivere lo “stato di salute” delle autonomie regionali e locali nell’Unione.

Questa prima edizione si è incentrata tutta sull’impatto che la pandemia da Covid 19 ha avuto sugli enti locali e regionali europei, che sono stati in prima fila nella gestione delle strategie messe in atto per fronteggiarla.

Dal rapporto emerge che la pandemia ha colpito in maniera diversa i vari territori europei, documentando con un accurato apparato statistico ciò che si era indubbiamente già percepito.

Altro dato interessante è che in generale i cittadini europei manifestano la convinzione che siano proprio i governi locali e regionali gli enti meglio attrezzati per la gestione delle problematiche sanitarie sul territorio.

Convinzione che anche la presidente della commissione Ursula von der Leyen ha fatto propria, dichiarando che la Settimana europea delle Regioni e delle Città è stato un chiaro messaggio mandato alle capitali degli Stati europei sulla necessità del coinvolgimento delle autorità locali e regionali nella gestione delle strategie antiCovid 19.

Ciò però, ha concluso la von der Leyen, investe i poteri locali e regionali di una grande responsabilità.


 

 

 

domenica 14 giugno 2020

Per i venticinque anni del Comitato delle Regioni dell'Unione europea

Si è tenuta a Bruxelles dall'11 al 13 febbraio scorsi la sessione inaugurale del nuovo Comitato delle Regioni dell'Unione europea eletto per il quinquennio 2020-2025.

Istituito ormai più di venticinque anni fa, nel 1994, esso assicura la rappresentanza nel panorama europeo delle autorità regionali e locali degli Stati membri,al fine di poter esprimere il loro parere sulle strategie dell'Unione che tocchino i profili di loro competenza.

Ai sensi dell'articolo 307 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, infatti, "Il Parlamento europeo, il Consiglio o la Commissione consultano il Comitato delle regioni nei casi previsti dai trattati e in tutti gli altri casi in cui una di tali istituzioni lo ritenga opportuno, in particolare nei casi concernenti la cooperazione transfrontaliera".

Con la creazione del Comitato delle Regioni, i canali rappresentativi all'interno dell'Unione si sono arricchiti di una nuova dimensione, accanto a quella politica generale assicurata tramite il Parlamento europeo, quella per ceti, veicolata attraverso il Comitato economico e sociale, e, volendo aderire ad una opinione diffusa, quella dei Governi assicurata dal Consiglio dell'Unione.

Si tratta di un risultato importante e l'operato del Comitato in questi venticinque anni, zelante ed intenso, sta a dimostrarlo.

Inoltre, l'esistenza del Comitato ha fatto da catalizzatore ad un vivace movimento associativo delle regioni e dei poteri locali in Europa che ha reso questi enti protagonisti dello spazio europeo e ha notevolmente condizionato l'operato delle istituzioni e degli stessi Stati.

Tanto che, molti (e noi tra questi) cominciano a pensare che il ruolo consultivo previsto dall'articolo 307 sia decisamente riduttivo per una realtà così ricca e articolata.

sabato 6 giugno 2020

Un processo per diffamazione in Sildavia. A Catania la seconda edizione della simulazione processuale in diritto internazionale europeo dei diritti dell'uomo


Si è tenuto nei mesi di aprile e maggio il corso di simulazione processuale in diritto internazionale ed europeo che simula una udienza davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Il corso, giunto alla sua seconda edizione, si inserisce però in un tessuto di attività di simulazione processuale avviato già nel 2008 presso la cattedra catanese con l'iniziativa "Il diritto internazionale nel processo italiano". 

Nella sua attuale versione, la simulazione processuale catanese serve anche come "talent" per la formazione della squadra catanese che annualmente prende parte al Premio Sperduti, simulazione organizzata a Roma dalla Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale, e nella quale le squadre catanesi, guidate dalla coach Maria Manuela Pappalardo, sono risultate finaliste per ben quattro volte negli ultimi cinque anni e vincitrici assolute in due delle quattro finali disputate.

L'edizione di quest'anno aveva ad oggetto lo studio della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di diffamazione a mezzo stampa, nella quale spiccano i numerosi casi relativi all'Italia, fino al celeberrimo caso Sallusti del 2019 e al recentissimo caso Magosso e Brindani contro Italia.

Come nella simulazione del Premio Sperduti, le squadre si affrontano a difesa del ricorrente e dello Stato, discutendo un caso immaginario contro uno Stato di fantasia (i cui rifermenti normativi salienti sono, però, offerti dall'ordinamento giuridico italiano). 

Ecco qui di seguito la traccia relativa al caso "Deship contro Sildavia"

Il giornalista Sean Deship lavora presso il Corriere di Mangrovia, il giornale più importante dello Stato della Sildavia (Stato parte della Convenzione europea dei diritti dell’uomo) e pubblica il 23 dicembre 2003 sul suo giornale una intervista con un informatore del controspionaggio sildaviano, il quale attacca il generale De Benis, ormai in pensione, sostenendo che circa dieci anni fa, quando era a capo dei servizi del controspionaggio aveva omesso di dare seguito ad una informativa riservata su un attentato. L’attentato si verificò e in esso persero la vita numerosi civili.

Dopo la pubblicazione dell’articolo, il Generale De Benis querela per diffamazione il Deship e il Tribunale di Mangrovia, il 18 settembre 2004 lo condanna per diffamazione a mezzo stampa, non accogliendo la tesi della difesa secondo la quale il giornalista si era limitato a riferire il contenuto di dichiarazioni che aveva raccolto nel corso della intervista e che la pubblicazione dell’articolo era avvenuta nell’esercizio del diritto di cronaca.

Il Tribunale ritiene infatti che non sia stato rispettato il principio della pertinenza (i fatti devono avere un interesse obiettivo per l’opinione pubblica), né il principio di continenza (i fatti devono essere esposti in maniera corretta e obiettiva), né tantomeno il principio della verità (i fatti devono corrispondere alla verità oggettiva di quanto effettivamente verificatosi).

Il Deship presenta ricorso alla Corte d’Appello, che però, decidendo il 28 giugno 2006, conferma la decisione del giudice di prime cure, ritenendo l’articolo sicuramente diffamatorio.

Né dà migliori risultati un ricorso in Cassazione, dato che la Suprema Corte, decidendo il 13 settembre 2008 conferma quanto disposto dalle giurisdizioni di merito.

A questo punto Sean Deship presenta ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo lamentando la violazione dell’articolo 10 della Convenzione.