lunedì 10 dicembre 2012

All'Unione europea il premio Nobel per la pace

di Rosario Sapienza

Si celebra oggi in tutto il mondo la Giornata Mondiale dei Diritti Umani (http://www.un.org/en/events/humanrightsday/ ). La data è stata scelta per ricordare la proclamazione da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite della Dichiarazione universale dei diritti umani, il 10 dicembre 1948 con la risoluzione 217/III, un testo che a sessantaquattro anni dalla sua approvazione mantiene intatta la sua forza morale, ma purtroppo anche le sue intrinseche debolezze.
La Giornata è uno degli eventi di punta nel calendario del quartier generale delle Nazioni Unite a New York ed è onorata con conferenze di alto profilo politico ed eventi culturali come mostre o concerti riguardanti l'argomento dei diritti umani. Inoltre, in questa giornata vengono tradizionalmente attribuiti i due più importanti riconoscimenti in materia, ovvero il Premio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, assegnato a New York, e il Premio Nobel per la pace ad Oslo. Quest’anno il premio Nobel per la pace sarà assegnato all’Unione europea per il complesso della sua azione per il mantenimento della pace sul territorio degli Stati europei, in quanto “da oltre sessant’anni contribuisce a promuovere pace, riconciliazione, democrazia e diritti umani in Europa”.
L’attribuzione di questo premio all’Unione europea, resa nota già nello scorso mese di ottobre, ha suscitato giustificate reazioni di compiaciuta approvazione, ma anche non poche critiche, altrettanto comprensibili. Il presidente della Commissione europea, Barroso,  e il presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, hanno dichiarato in un comunicato congiunto: “È un grandissimo onore per l'Unione europea ricevere il premio Nobel per la pace 2012. Questo è il massimo riconoscimento delle profonde motivazioni politiche che stanno alla base della nostra Unione: lo sforzo unico di un crescente numero di paesi europei di superare guerre e divisioni per disegnare insieme un continente di pace e prosperità. Il premio non è destinato soltanto al progetto e alle istituzioni che incarnano un interesse comune, bensì ai 500 milioni di cittadini che vivono nella nostra Unione”.
Altri fanno notare che, soprattutto alla luce della politica di pareggio di bilancio che la Germania sta imperialisticamente imponendo agli altri Stati, l’Unione europea e il complesso della sua vicenda istituzionale non è stata altro che “la prosecuzione della guerra con altri mezzi” e dunque il premio Nobel per la pace (sia detto con tutto il rispetto dovuto ai saggi di Oslo) suona come un elemento, tra i tanti, di una strategia di mistificazione.
L’una e l’altra posizione meritano rispetto, ma hanno l’una il peccato originale della propaganda politica, l’altra il vizio di una pregiudicata avversione alla costruzione federale europea.
Da parte nostra, dalle pagine di questo blog dedicato proprio alle “Autonomie e Libertà in Europa” vorremmo velocemente sottolineare alcune cose.
In primo luogo, che il premio va all’Unione europea  quale organizzazione che esprime, al di là dei molti suoi limiti e difetti, organizzativi e di ispirazione complessiva, la sintesi della cooperazione nel continente. E questa cooperazione si fonda su  un desiderio di pace in verità assai diffuso tra i popoli dell’Europa, una pace che passa attraverso il rispetto dei diritti di libertà, come mostra il successo della Convenzione europea dei diritti umani (che non è una creazione dell’Unione europea, anche se adesso l’Unione ha avviato negoziati per la sua adesione).
In secondo luogo, poi, e questo è altrettanto innegabile, l’esistenza dell’Unione europea (e prima di esse delle Comunità europee) ha fatto sì che i numerosi contenziosi esistenti tra i Paesi europei abbiano sempre trovato la strada del negoziato all’interno, per quanto è stato possibile, del quadro negoziale offerto dall’Unione.
Dunque ci sono almeno due ragioni per rallegrarsi di questo Nobel, pur se non si può mancare di notare che esso viene assegnato con l’intento di promuovere il futuro piuttosto che di giustificare un passato non tutto commendevole.


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