Si celebra oggi in tutto il
mondo la Giornata
Mondiale dei Diritti Umani (http://www.un.org/en/events/humanrightsday/
). La data è stata scelta per ricordare la proclamazione da parte dell'Assemblea
Generale delle Nazioni Unite della Dichiarazione universale dei diritti umani,
il 10 dicembre 1948 con la risoluzione 217/III, un testo che a sessantaquattro
anni dalla sua approvazione mantiene intatta la sua forza morale, ma purtroppo
anche le sue intrinseche debolezze.
L’attribuzione di questo premio
all’Unione europea, resa nota già nello scorso mese di ottobre, ha suscitato
giustificate reazioni di compiaciuta approvazione, ma anche non poche critiche,
altrettanto comprensibili. Il
presidente della Commissione europea, Barroso, e il presidente del Consiglio europeo, Van
Rompuy, hanno dichiarato in un comunicato congiunto: “È un grandissimo
onore per l'Unione europea ricevere il premio Nobel per la pace 2012. Questo è
il massimo riconoscimento delle profonde motivazioni politiche che stanno alla
base della nostra Unione: lo sforzo unico di un crescente numero di paesi
europei di superare guerre e divisioni per disegnare insieme un continente di
pace e prosperità. Il premio non è destinato soltanto al progetto e alle
istituzioni che incarnano un interesse comune, bensì ai 500 milioni di
cittadini che vivono nella nostra Unione”.
Altri fanno notare che, soprattutto alla luce della politica
di pareggio di bilancio che la
Germania sta imperialisticamente imponendo agli altri Stati,
l’Unione europea e il complesso della sua vicenda istituzionale non è stata
altro che “la prosecuzione della guerra con altri mezzi” e dunque il premio
Nobel per la pace (sia detto con tutto il rispetto dovuto ai saggi di Oslo)
suona come un elemento, tra i tanti, di una strategia di mistificazione.
L’una e l’altra posizione meritano rispetto, ma hanno l’una
il peccato originale della propaganda politica, l’altra il vizio di una
pregiudicata avversione alla costruzione federale europea.
Da parte nostra, dalle pagine di questo blog dedicato proprio
alle “Autonomie e Libertà in Europa” vorremmo velocemente sottolineare alcune
cose.
In primo luogo, che il premio va all’Unione europea quale organizzazione che esprime, al di là
dei molti suoi limiti e difetti, organizzativi e di ispirazione complessiva, la
sintesi della cooperazione nel continente. E questa cooperazione si fonda
su un desiderio di pace in verità assai
diffuso tra i popoli dell’Europa, una pace che passa attraverso il rispetto dei
diritti di libertà, come mostra il successo della Convenzione europea dei
diritti umani (che non è una creazione dell’Unione europea, anche se adesso
l’Unione ha avviato negoziati per la sua adesione).
In secondo luogo, poi, e questo
è altrettanto innegabile, l’esistenza dell’Unione europea (e prima di esse
delle Comunità europee) ha fatto sì che i numerosi contenziosi esistenti tra i
Paesi europei abbiano sempre trovato la strada del negoziato all’interno, per
quanto è stato possibile, del quadro negoziale offerto dall’Unione.
Dunque ci sono almeno due
ragioni per rallegrarsi di questo Nobel, pur se non si può mancare di notare
che esso viene assegnato con l’intento di promuovere il futuro piuttosto che di
giustificare un passato non tutto commendevole.
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