Mercoledì 19 marzo ho preso parte, con Fulvio Attinà e Matteo Negro, al primo seminario della Spring Term School del Collegio d'Aragona "Oltre Questa Europa". Qui di seguito la sintesi del mio intervento.
Prendendo lo spunto dal titolo del
ciclo di seminari, “Oltre Questa Europa”, Sapienza ha esordito affermando che
per andare oltre questa Europa bisogna cominciare ad analizzarla e comprenderla
non secondo gli schemi preconfezionati e propagandistici diffusi dall’Unione
europea, ma per ciò che l’Europa è stata ed ancora è nella storia e nella
cultura dei Paesi e delle genti che ne fanno parte.
L’Europa è stata ed ancora oggi è
molto di più dell’Unione europea e del suo contorto percorso di cooperazione e
integrazione. Tutto il pensiero politico europeo a partire dal seicento in poi
è attraversato da progetti di Unione europea. Trecento anni fa, nel 1713, ad
esempio, l’Abbé de Saint-Pierre aveva progettato una Unione tra gli Stati
dell’Europa di allora e qualche anno dopo, nel 1799, Novalis parlava
dell’Europa Unita come di qualcosa che era esistito nel Medioevo e che poteva
ancora esistere, se il cattolicesimo che aveva ceduto il passo alla Rivoluzione
protestante e alla Rivoluzione francese che avevano frammentato l’originaria
unità dell’Europa cristiana, avesse
ripreso la sua centralità nella vicenda culturale europea.
Pensieri questi probabilmente non più
attuali, ma che mostrano quanto ampio sia stato lo spettro delle tematiche
abbracciate dall’ideale aspirazione verso l’unità europea e quanto invece
ristretta, quasi asfittica, sia la prospettiva nella quale oggi ci si muove
nell’ambito dell’attuale dinamica istituzionale che chiamiamo Unione europea.
Che si riduce, in fin dei conti,
all’esistenza di un farraginoso apparato burocratico che mira, nella sostanza,
a coordinare al meglio la cooperazione degli Stati (con la pretesa spesso
enunciata, ma mai attuata, di guidarla) verso obiettivi di loro interesse
comune (o comunque identificati come tali).
Riguardata con le categorie del
diritto pubblico, che in sé rappresenta una delle più alte conquiste del
pensiero europeo, essa peraltro non è uno Stato federale, né probabilmente
vuole esserlo, forse è una Confederazione di Stati sovrani, forse ancora una
via di mezzo tra le due forme di aggregazione.
Una cosa è certa e va detta subito:
l’Unione europea non è tutta l’Europa ed
anzi non è nemmeno una Unione. E’ piuttosto un insieme di Unioni che marciano a
diverse velocità a seconda della maggiore o minore volontà degli Stati di
cooperare o integrare le proprie competenze in questa o quella materia.
In secondo luogo, va purtroppo
riconosciuto, questo cammino di cooperazione verso l’integrazione, va avanti
con particolare lentezza proprio in quelle tematiche che sarebbero di più
diretto interesse per la gente comune.
La cittadinanza europea, ad esempio, nonostante
le roboanti affermazioni che abbiamo sentito fino all’anno scorso, intitolato
ufficialmente Anno dei cittadini europei, serve, se serve, a chi si muove da
uno Stato all’altro, ma poco o nulla a chi rimane nel proprio Stato.
Nulla di significativo riesce a dire poi
l’ Unione europea sull’assetto costituzionale all’interno degli Stati membri e
sulla possibilità di cambiarlo, se non proporre da una parte vuoti proclami
sull’Europa delle Regioni e dall’altra una politica di coesione ormai svilita
al rango di mera strategia di complemento e di riequilibrio territoriale.
Nulla di significativo, ancora,
riesce a dire sulla garanzia dei diritti, peraltro concretamente affidata a un
sistema, quello della Corte di Strasburgo, esterno alla dinamica dell’Unione e
al quale l’Unione non riesce ancora nemmeno ad aderire.
Tutto ciò non implica che l’Unione
europea sia tutta da buttar via. Va però
vista per quello che è e non per quel che dice di essere.
In un’epoca caratterizzata da una
pronunciata tendenza verso il gigantismo istituzionale,dominata da grandi
entità politiche (Cina, India, USA, Russia) essa rappresenta un utile strumento
di cooperazione fra Stati che, pur appartenendo alla stessa area geo-politica,
non hanno maturato (né forse mai matureranno) una vera e propria vocazione
federale. Stati che pur vivendo una stagione di profonda crisi, restano
comunque riluttanti a fare il passo decisivo: quello di firmare il proprio
certificato di morte per rinascere in uno Stato federale.
Insomma questa Europa è in ultimo una
tragica finzione, un surrogato certo, ma di qualcosa che non c’è, una
controfigura, ma di un attore che non è
mai stato scritturato.
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