Nel 2020 abbiamo celebrato il trentesimo
anniversario dell’avvio, nel 1990, di Autonomie & Libertà in Europa, un
movimento di idee e azione per una Europa più vicina ai problemi della gente
comune.
Nel 1990, anno del varo delle Conferenze
Intergovernative che avrebbero poi portato al Trattato di Maastricht, decidemmo
di dare struttura più organica alle indagini che fino a quel momento avevamo
condotto sulla politica regionale prima e di coesione poi della Comunità europea
e sulla protezione dei diritti umani in Europa at large, includendo anche le tematiche relative alla Convenzione
europea dei diritti umani.
Avevamo l’impressione già allora che la manualistica
corrente avesse finito con l’imporre un approccio al diritto dell’Unione
europea tendente a darne una ricostruzione artificiale e speciosa, vittima di
un approccio riduzionista la cui esclusività non si giustificava (e non si giustifica
nemmeno adesso) né sul piano euristico né sul piano etico, derivando esso da
una precomprensione, ormai anacronistica, secondo la quale la Comunità prima e
l’Unione dopo si dovessero indentificare solo con il loro apparato di governo, scilicet le istituzioni, mentre il
governo del territorio e delle persone
sarebbe rimasto, per dir così, nel dominio riservato degli Stati membri
A questo approccio intendevamo noi non contrapporre,
ma affiancare piuttosto, lo studio dell’Unione europea, e segnatamente del suo
diritto, a partire dai variegati e complessi equilibri che si costituiscono in
singole politiche che, per varie ragioni, appaiono degne di attenzione e suscettibili
di offrire punti di vista originali e innovativi.
Queste politiche le individuammo, piuttosto
semplicemente, a partire dalla triade di Montesquieu. Ritenendo che l’approccio
tradizionale allo studio del diritto dell’Unione europea avesse approfondito
solo il versante delle istituzioni e dunque
solo il versante del governo, restava da dire del territorio e del
popolo.
Ciò chiamava in causa, quanto al territorio, sia la
politica di coesione, quale insieme di strategie attraverso le quali l’Unione invera
il suo sistema giuridico sul territorio, sia quelle relazioni giuridicamente
significative che l’Unione intrattiene con enti di rango sub-statale, capaci di
offrire alternative al modello quasi- o pseudo-federale, sottinteso ai rapporti
dell’Unione con gli Stati.
E, sul versante dei rapporti con la popolazione, la
cittadinanza europea, primo vero banco di prova della volontà dell’Unione di
esistere (e degli Stati membri di farla esistere) al di là delle relazioni fra
Stati, dialogando con i propri cittadini.
Attraverso questa analisi di ambiti apparentemente
distanti fra di loro, accostati in maniera che certamente potrebbe apparire
stravagante ai più, ritenevamo di poter ricostruire una immagine dell’Unione
certamente più vicina alla sua realtà di singolare ente giuridico frutto di
sintesi innovative e garante di equilibri più avanzati tra il potere e coloro
che in Europa ad esso sono soggetti.
E ciò nella convinzione che il compito del giurista
oggi sia quello di indirizzare le energie che emergono dalla convivenza sociale
su nuovi percorsi di dialogo con le istituzioni, senza rinchiudersi nella turris eburnea dell’accademia.
La Rivincita dei Territori
Occorreva insomma tornare ai territori, luoghi di
elezione del legame sociale, tanto dimenticati da questa Europa di plastica,
dove uomini senza tempo vivono vite di plastica in città anonime comunicando
ormai soltanto in uno spazio cibernetico virtuale.
E dove la relazione sociale si costituisce
semplicemente attraverso l’introiezione della relazione di una comunicazione a
senso unico, che irrompe nella solitudine dell’individuo e di nuovo lo fa
schiavo secondo la ben nota sequenza:
individuo-consumatore-spettatore-elettore.
A questa dinamica, umanamente insostenibile,
sempre più si deve opporre un movimento nel quale la difesa del territorio
assume la valenza della difesa di una alterità: la difesa non del territorio
indifferenziato di un’ecologia di maniera, ma la difesa del mio territorio, del
nostro territorio come spazio vitale nel quale crescono e si affermano la
diversità contro l’omologazione, la carne e il sangue contro la plastica, la
vita vissuta contro l’artificialità della vita pensata, rapporti umani
significativi e gratuiti contro rapporti tra individui atomizzati che sono solo
contatti/contratti.
Né riteniamo sufficiente lo spazio concesso alle
realtà regionali all’interno dell’attuale costruzione europea. Occorre invece
puntare a una decisa valorizzazione delle dimensioni territoriali. Anche
all’interno degli Stati, la cui sovranità non può rappresentare uno schermo al
riparo del quale edificare nuove strategie centraliste. L’Unione europea
dispone, a partire da una corretta interpretazione del principio di
sussidiarietà, degli strumenti per una autentica regionalizzazione, promuovendo
lo sviluppo delle aree bisognose di rinnovate strategie di coesione.
Questa esigenza si manifesta oggi in Europa, e non
solo, nei numerosi movimenti di rivendicazione dell’autonomia di questo o quel
territorio (in una logica di autonomia o di autodeterminazione, poco importa a
questi nostri fini), che non sono semplici richieste di una diversa
organizzazione della cosa pubblica, ma istanze forti di riconoscimento di
una diversità di gruppo che non vuol cedere alla massificazione
dell’individualismo metropolitano e che fondano proposte politiche
alternative ai tanti centralismi, a loro volta espressione delle logiche
spersonalizzanti del potere.
Appare chiaro dunque che ci troviamo oggi di
fronte a una vera e propria rivincita dei territori, laddove il proliferare di
istanze anticentraliste costituisce il Leit-Motif di un
discorso politico non nuovo, certo, ma altrettanto certamente assai
significativo che deve essere adeguatamente esaminato dai decision
makers e messo a tema.
Per ricostituire così aree di significatività sociale,
all’interno delle quali solamente può avere concreto significato una vita non
dominata dall’ideologia economicista.
Potere, Ordine, Territorio
Tutto ciò si ricollega poi a una posizione più
generale, se si vuole di filosofia politica. C’è infatti un nesso
genetico tra il potere e il territorio nella teoria politica e filosofica del
potere. Carl Schmitt ricorda che
l’ordine costituito è un ordine sul territorio, e che la parola ordine
condivide l’etimo con la parola che indica l’origine, dunque un luogo. E il
potere è un potere che si esercita appropriandosi di uno spazio, fin dalla
prima riflessione ancora in epoca feudale.
Quando si mette a punto una teoria della
sovranità dello Stato il territorio assurge da subito al rango di elemento
costitutivo della persona giuridica dello Stato. Ma la giuridificazione del potere
altro non è se non l’esito di un processo di astrazione, che conduce a
fare del territorio una immagine indifferenziata, astraendo appunto da ciò che lo
rende una realtà viva e concreta. E, in generale, le teorie giuridiche
sono teorie di astrazione e metafisicizzazione del reale, il cui esempio
migliore è offerto dal continuum Kelsen-Luhmann, che conduce
alla costruzione di una teoria giuridico-politica formale e astratta.
Questo processo conduce poi (e in essa si esalta) alla
totale metafisicizzazione del potere attraverso la telematica, che altro non è
se non la collocazione dei rapporti in un non luogo cibernetico che come tale
prescinde da una collocazione reale e viva.
Uomini senza tempo vivono vite di plastica in città
anonime comunicando ormai soltanto in uno spazio cibernetico virtuale.
E la relazione di potere si costituisce semplicemente
attraverso l’introiezione della relazione di una comunicazione a senso unico,
che irrompe nella solitudine dell’individuo e di nuovo lo fa schiavo secondo la
ben nota sequenza: individuo-consumatore-spettatore-elettore.
Autonomie & Libertà in Europa e il diritto
internazionale europeo
Un’ ultima considerazione va riservata ai rapporti tra
Autonomie & Libertà in Europa e l’approccio ormai noto come diritto
internazionale europeo.
Quando si pensa all’integrazione europea si pensa
all’Unione europea e si fa bene perché fra i 27 Stati che ne fanno parte di
realizza una forte, pronunciata integrazione.
Ma non si deve dimenticare che questi 27 Stati fanno
parte del Consiglio d’Europa, organizzazione che conta oggi 47 Stati membri
impegnati in una strategia a lungo termine volta alla costruzione di un’area
estesa ove si affermi un modello di Stato caratterizzato dal rispetto dei
diritti umani, organizzato secondo principi democratici e nel rispetto della
rule of law.
Né va dimenticato altresì che i 47 Stati parti del
Consiglio d’Europa fanno a loro volta parte di una più ampia compagine
istituzionale, l’OSCE di cui fanno parte 57 Stati europei, nordamericani e
dell’Asia centrale.
Ciascuna di queste organizzazioni si pone come
elemento promotore di strategie regionali di ordine e sicurezza, che tuttavia
pur mirando ad obiettivi comuni o comunque compatibili fra loro non sono al
momento fra loro coordinate.
Un elemento in comune è rappresentato dalla promozione
di un modello di Stato nel quale l’autorità del potere centrale sia comunque
limitata dal riconoscimento di una tutela delle autonomie territoriali e dalla
tutela dei diritti umani individuali e collettivi.
L’integrazione di queste strategie di tutela genera un
assetto destinato ad influire sugli equilibri “costituzionali” all’interno
degli Stati parti delle tre organizzazioni, in una feconda contaminazione di
metodi e modelli.
Autonomie e Libertà in Europa nasce per indagare
proprio questo complesso assetto e ricostruirne le dinamiche e gli equilibri.